Posts written by Alaricus Rex

view post Posted: 2/1/2012, 14:44 Arte e cultura nella teoria marxista - Articoli scientifici marxisti

Arte e cultura nella teoria marxista


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In questo campo potrebbe rivelarsi, almeno inizialmente, difficile ritrovare la bussola del marxismo, poichè innumerevoli teorici - primo tra tutti, naturalmente, Trotski - hanno apportato una confusione incredibile, rendendo difficile un'esatta definizione del pensiero e, soprattutto, della prassi marxista nei riguardi della cultura e dell'arte; inoltre, come avrò modo di argomentare in seguito, la «questione culturale» è un tema particolarmente sentito nel momento attuale e la classe dominante è seriamente impegnata, per ovvi fini, a favore degli stravolgimenti teorici ai quali ho appena accennato. Permettetemi di fare un esempio di queste deformazioni teoriche. Nell'articolo di A. Breton e L. Trotsky Per un’arte rivoluzionaria indipendente è detto:

“E’ più che mai opportuno valersi di questa dichiarazione contro coloro che pretendono di assoggettare l’attività intellettuale a fini estranei all’attività stessa e, in spregio a tutte le determinazioni storiche che le sono proprie, a controllare, in funzione di pretese ragioni di stato, i temi dell’arte. (…) a coloro che si spingessero, oggi o domani, ad acconsentire che l’arte sia sottoposta ad una disciplina che consideriamo radicalmente incompatibile con i suoi mezzi, opponiamo un rifiuto senza appello e la nostra volontà deliberata di far valere la formula: nessuna licenza in arte”.

Quindi, se l'attività sociale e la lotta di classe sono «fini estranei all'attività stessa» (artistica e intellettuale), se la teoria dell'«arte per l'arte» è una teoria marxista, se Lenin sosteneva il futurismo, se il realismo socialista altro non era che una «bruttura staliniana» e Zdanov era un moderno Torquemada, che cosa resta nell'arsenale del marxismo per la «questione culturale»? E' chiaro che non si tratta di un'arsenale per la lotta contro l'ideologia borghese.

Secondo il marxismo, l'arte e la cultura sono parte della sovrastruttura e, quindi, riflettono la vita sociale della base economica. Secondo le parole di G.V. Plekhanov:

“Ogni opera letteraria è espressione del proprio tempo. Il suo contenuto e la sua forma sono determinati dai gusti, dalle abitudini e dalle aspirazioni di quel tempo, e quanto è più grande lo scrittore, tanto più forte e più evidente appare la dipendenza del carattere delle sue opere dal carattere del suo tempo, e cioè, per dirla in altre parole, tanto minore appare nelle sue opere quel «residuo» che si potrebbe chiamare «personale».” (Note sulla storia della letteratura francese del Lanson)

In queste brevi frasi è sintetizzata la concezione marxista del rapporto tra attività artistica e vita sociale. Ovviamente, come ci ricorda Marx, sarebbe errato stabilire una corrispondenza meccanica tra di esse: “Per l'arte, è noto che determinati suoi periodi di fioritura non stanno assolutamente in rapporto con lo sviluppo generale della società, nè quindi con la base materiale, con l'ossatura per così dire della sua organizzazione.” (L'ideologia tedesca)

Marx rifugge dal meccanicismo, ma afferma altresì l'importantissimo ruolo della vita sociale nello sviluppo dell'arte: “La concezione della natura e dei rapporti sociali, che stanno al fondo della fantasia e, quindi, della mitologia greche son forse compatibili con le filatrici automatiche, con le ferrovie, le locomotive e i telegrafi elettrici? Dove può andare a cacciarsi Vulcano di fronte a Roberts and Co., e Giove di fronte ai parafulmini ed Ermes di fronte al Crédit mobilier? [...] è forse possibile Achille quando esistono polvere da sparo e piombo? O in generale l’Iliade con il torchio e la macchina da stampa? Con il torchietto da stampa non finiscono necessariamente il canto, la leggenda e la Musa? Non scompaiono, insomma, le condizioni necessarie della poesia epica?” (Introduzione ai «Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica»)

Se non vi è una dipendenza meccanica dell'arte dalla vita sociale, esiste indiscutibilmente una determinazione in ultima istanza. Il dogma borghese della «libertà artistica» è così confutato; ma non finisce qui: nelle teorie artistiche borghesi si esalta la «libertà artistica» consentita dal capitalismo, ma che cos'è realmente l'opera d'arte nel capitalismo? Chi è l'artista nel capitalismo? L'opera d'arte è una merce come tutte le altre; così come l'operaio salariato vende la propria forza-lavoro, l'artista vende le proprie opere o la propria «capacità artistica».

“Prendiamo il problema della vendita delle opere d'arte. Il fatto che l'artista sia costretto a considerare la sua attività creativa da questo punto di vista non è una norma data una volta per sempre, ma una disgrazia, una vergogna che trae origine dall’ordinamento sociale diviso in classi. L'artista dovrebbe impegnarsi con tutta l'anima a svincolare la sua opera dalla umiliante schiavitù della bistecca quotidiana.” (A. Lunaciarskij, L'arte)

Nel capitalismo l'artista non produce per se stesso o per la società, ma per il mercato. Egli non può nemmeno essere fruitore di quel margine di «autonomia» concesso dalla determinazione in ultima istanza, in quanto è costretto a produrre secondo le preferenze del pubblico e non secondo la propria aspirazione. Il capitalismo è una pastoia per l'attività artistica: esso non solo non la libera, ma la trasforma in un mestiere e rende l'artista schiavo del mercato. Pertanto, la teoria della «libertà artistica» è non solo una concezione idealistica e antiscientifica, ma una vera e propria ideologia reazionaria, una falsa coscienza il cui fine è la perpetuazione dello status quo. Essa abbellisce il capitalismo in modo funzionale alla classe dominante, in modo da ingannare il popolo. Tale è il vero carattere della «libertà artistica» di cui gli ideologi borghesi si riempono la bocca quando attaccano il realismo socialista. A questi apologeti del capitalismo si può rispondere con le parole di Lenin:

«Vivere nella società ed essere liberi dalla società non è possibile. La libertà dello scrittore, dell'artista, dell'attrice borghese è soltanto una dipendenza mascherata (o ipocritamente mascherata) dai portafogli ben forniti, da coloro che li corrompono e li mantengono». (Organizzazione di partito e letteratura di partito)

Ma questo è solo uno degli aspetti della «questione culturale». Se è vero che, secondo il marxismo, la sovrastruttura esercita un'influenza di rimando sulla base, anche la cultura e l'arte, essendo parte della sovrastruttura, influenzano la vita sociale e la mentalità delle persone. Qual è quindi la funzione sociale dell'arte? Secondo le parole dello scrittore russo Cerniscevski:

“L’arte, o per meglio dire la poesia (solo la poesia, in quanto le altre arti sotto questo rapporto fanno ben poco), diffonde nella massa dei lettori un’imponente quantità di conoscenze, nonché cosa ancora più importante — la cognizione di concetti elaborati dalla scienza; in ciò appunto consiste il grande significato della poesia per la vita.” (citato in Arte e vita sociale di G.V. Plekhanov)

Ben si comprende quale enorme importanza sociale abbiano, oggi più che un tempo, l'arte e la cultura. Esse possono essere utilizzate per inculcare nel proletariato la morale conservatrice o lo slancio rivoluzionario, per inculcare nei giovani una concezione dionisiaca della vita o una profonda coscienza politica. Esse possono diffondere idee metafisiche circa l'«eternità della proprietà privata» oppure una visione organica delle contraddizioni del capitalismo. Oggi, quando la musica leggera ha sostituito la poesia, quando il film ha sostituito il teatro, quando la produzione artistica ha un carattere centralizzato e di massa, tale importanza è ancora più evidente. Anche i capitalisti ne sono consapevoli e per questo si sono apprestati a creare la propria egemonia culturale; «... in quanto dominano come classe e determinano l'intero ambito di un'epoca storica, è evidente che essi lo fanno in tutta la loro estensione, e quindi fra l'altro dominano anche come pensanti, come produttori di idee che regolano la produzione e la distribuzione delle idee del loro tempo; è dunque evidente che le loro idee sono le idee dominanti dell'epoca» (K. Marx, L'ideologia tedesca).

Ovviamente i capitalisti non vogliono che questo loro dominio culturale sia troppo evidente, per cui lo mascherano con l'ideologia della «libertà artistica», facendo un tuttuno di possibilità e realtà. A questa ideologia reazionaria si accompagna la teoria dell'«arte per l'arte», che vede l'attività artistica come un fenomeno isolato, metafisicamente, astraendo dalla vita sociale. Tale visione è antiscientifica da cima a fondo, perchè negare il ruolo dell'arte e della cultura nella società significa negare che la conoscenza delle opere di Omero fosse un requisito imprescindibile per gli intellettuali greci ed ellenistici, negare che i film catastrofisti avessero e abbiano una grande influenza sulle opinioni degli occidentali e riforniscano di «argomenti» il clericalismo e l'oscurantismo (e le speculazioni ad essi collegate), negare che l'odierna musica leggera eserciti un'influenza assuefacente sui giovani. Ci troviamo quindi di fronte ad un'altra forma di falsa coscienza, di fronte ad un'altra ideologia. Il vero scopo di questa ideologia è il cammuffamento dell'influenza esercitata dalla cultura borghese sulla società, di un'influenza tesa a prolungare lo status quo.

Per sviluppare l'influenza della propria cultura sulla società nel modo più organico possibile e rafforzare il proprio dominio, il capitalismo non ha bisogno di un'arte qualsiasi, ma di una tendenza precisa dell'arte: il formalismo. Che cos'è il formalismo? E' la tendenza alla «ricerca della bella forma priva di contenuto» (A. Zdanov, Rapporto sulle riviste Zviezdà e Leningrad). I borghesi hanno proprio bisogno di un simile tipo di arte: di un'arte che ignori i temi sociali scottanti e che ipnotizzi le masse con la bellezza della sua forma. In questo modo i borghesi possono distrarre il popolo dalla lotta di classe in favore dello sterile godimento di quelle forme artistiche e culturali che diventano, in questo modo, un nuovo oppio del popolo, come era un tempo (ed è ancora oggi) la religione. Le basi sociali dello sviluppo del formalismo sono da ricercare nella natura stessa del sistema capitalistico, che impone una concorrenza spietata nel campo dell'offerta, anche di quella culturale e artistica.

“Nel nevrastenico ventesimo secolo assistiamo ad un fenomeno straordinariamente originale. Fin dall'inizio del secolo le correnti artistiche si sono avvicendate con estrema rapidità. Quasi ogni anno avevamo una nuova scuola. I giovani, nell'ansia di scoprire nuove sponde », trascuravano molto spesso ciò che si chiama maestria. [...] Non c'è quasi nessuno che lavori sul serio, che riesca a spuntarla con l'aspetto mestieristico dell'arte, che acquisti la perizia tradizionale. In tutte le epoche, quando l'arte era in manifesta decadenza, perdeva la tradizione e si trasformava in barbarie, gli artisti non dicevano: ora noi dipingiamo e scriviamo peggio della precedente generazione; essi hanno sempre supposto di introdurre nuovi gusti nella vita. Ma la perdita del mestiere è caratteristica di un'epoca di decadenza.
Gli artisti delle vecchie generazioni hanno ragione di affermare che i giovani vogliono farsi largo mostrandosi originali. Uno sbarbatello che ha ancora il latte alla bocca vuole già essere un maestro. Se tira fuori qualche trucco nuovo, magari affatto scombinato, ma che contiene lo schema di una teoria improvvisata in quattro e quattr'otto o qualche combinazione di parole che dovrebbe servire da chiave alle sue scoperte, egli trova sempre due o tre altri giovanotti più stupidi di lui, incapaci perfino di combinare quel poco di originale che lui ha « scoperto »; e sono proprio loro a correre verso il nuovo giovane « maestro », ancor privo di discepoli, davanti al quale recitare con esito certo la commedia dell'originalità. Cosí nasce una « modernissima scuola ».” (A. Lunaciarskij, L'arte)

Tale era la situazione all'inizio del '900. Tali sono gli effetti del capitalismo sull'attività artistica e le basi sociali del formalismo. Oggi, quando i mezzi di comunicazione moderni diffondono la produzione artistica (in particolare la musica) in ogni dove, la situazione è piuttosto simile, e ciò è testimoniato dal frenetico conformismo a certe «mode» e ai certi «stili di vita», diffuso soprattutto tra i giovani. Così stando le cose, si può constatare come le «scomuniche» di Andrej Zdanov contro i formalisti sovietici non erano immotivate. Anzi, Zdanov aveva previsto le estreme conseguenze del formalismo che sono oggi sotto gli occhi di tutti con grande lungimiranza. I falsificatori del marxismo hanno creato un leggenda secondo cui il formalismo sarebbe un'invenzione dello «stalinismo» per rafforzare il suo «totalitarismo» e i marxisti precedenti non lo avrebbero criticato. Tali opinioni sono facilmente confutabili mediante le opere di Plekhanov e Lunaciarskij, che contengono dure critiche al formalismo, come la seguente:

“Un individuo che ritiene che una combinazione di colori e di linee abbia un valore a se stante, lo dobbiamo considerare o un giovincello, che non ha niente da versare nemmeno nella botte più nuova, o un mezzo cadavere deambulante, infatuato delle forme, perché è sopravvissuto alla perdita del proprio contenuto interiore. Aveva perfettamente ragione Cechov nel dire che l'arte contemporanea ha perduto «Iddio», che non sa cosa insegnare, che non ama niente, che è senza idee e che in queste condizioni nemmeno il più valente maestro può essere artista.

Chi non sa pensare attraverso le immagini, chi non è capace di riversare negli stampi delle immagini il metallo fuso della esperienza e delle sensazioni è tutto fuorché un artista. Non può essere altro che un «maestro», nel senso che è capace di attuare determinate combinazioni che forse potranno in parte servire ad altri artisti, quelli veri.

Questa voluta mancanza di contenuto, questa teoria di una «libera» associazione di linee, suoni o parole senza un contenuto interiore (a furia di rimbalzi si è arrivati a scacciare la letteratura... dalla letteratura), sono appunto quei tratti del futurismo che lo fanno considerare dalla gente autenticamente nuova un vecchiume, un raffinatissimo dessert, servito dopo il pranzo borghese, un frutto della vuota cultura borghese, pronta a servire lingue d'usignolo, perché ormai tutto il resto sembra insipido e banale.” (A. Lunaciarskij, L'arte)

Anche Lenin, come testimoniato dal libro di Lunaciarskij Lenin e l'arte, aveva punti di vista simili.

Con il formalismo, per la sua stessa natura, effetti e origine, non si può applicare il principio dell'identità degli aspetti della contraddizione, non si può cioè impiegarlo nell'arsenale della cultura proletaria. Come gioverebbe al proletariato un'arte che distrae le masse dai problemi concreti? Su quali basi sorgerebbe una simile arte in assenza delle leggi economiche del capitalismo? E' chiaro che il formalismo è dunque incompatibile con la cultura proletaria.

Il quesito che quindi si pone è: qual è la corrente artistica più adatta alla cultura proletaria? Quali argomenti rappresentabili nell'arte son utili al movimento comunista?

“La via del realismo è la via della protesta reale. La borghesia ha mostrato simpatia nei suoi confronti solo fino a quando essa stessa non ha perduto la patina rivoluzionaria. [...] L'ulteriore smascheramento satirico dell'ordinamento borghese comincia ad infastidire la borghesia e, forse, anche i suoi avversari, i quali scrivono che in questa direzione l'essenziale è già stato fatto. [...] L'artista proletario rappresenterà anche il modo di vita operaio, ma non sarà la miseria ad attrarre in primo luogo la sua attenzione, bensì l'aspetto combattivo della vita proletaria. La rappresentazione della lotta, degli sforzi titanici, dello slancio e della tenacia, dello spirito innovatore che sorride ora indignato ora raggiante, costituirà gran parte dei motivi da elaborare. [...] Quali sono i principali elementi dello stato d'animo sociale dei socialisti? In primo luogo, essi odiano l'ordinamento sociale che ha fatto il suo tempo. Perciò l'elemento sferzante, satirico sarà presente anche nell'arte proletaria. In secondo luogo, essi lottano per un mondo nuovo. Perciò la lotta, come ho già detto, avrà un posto centrale tra i temi del nuovo artista. In terzo luogo, essi prevedono, seppur nello « specchio magico », soltanto questo mondo nuovo, migliore. [...] Illuminare tutti gli aspetti della vita odierna con la luce della critica spietata, però non con la critica del rinnegato preso dalla disperazione, bensì con quella del nemico cosciente del vecchio mondo che lotta per il nuovo, prediletto; dare una chiara immagine della lotta proletaria ed anche della lotta dei predecessori del proletariato, e, in generale, mostrare la psicologia della lotta, della distruzione e della creazione in tutta la loro inesauribile molteplicità; ciò facendo, porre in luce come nuovo elemento, la stupenda socialità, la nuova fratellanza alla quale siamo, sì, educati dalla fredda macchina senza anima, ma che è, tuttavia, calda e colma di grazia spirituale; porre in luce la ferrea integrità della nuova anima — l'anima del combattente — il suo coraggio senza limite, la sua fondamentale gaiezza, la serenità... e le tante altre cose gentili, commoventi e altamente tragiche che vi sono in quest'anima; dipingere grandi e piccoli quadri del futuro agognato, i profili dei nipoti « raddrizzati », le immagini della saggia gioia di vivere, delle nuove ansie, dell'amore perduto... (Ma è forse possibile elencare solo la milionesima parte dei temi del futuro?); e, cosa essenziale, dare una lieta pregustazione di quella vasta, intima, universale fratellanza verso la quale il proletariato conduce il mondo attraverso il socialismo. Ecco alcuni compiti dell'arte socialista, di cui attenderemo e osserveremo con trepidazione i primi passi.” (A. Lunaciarskij, I compiti dell'arte socialdemocratica)

In queste frasi di Lunaciarskij, tratte da un articolo del 1907, sono efficaciemente sintetizzati i temi dell'arte proletaria. Quest'arte deve essere realistica, in quanto uno dei suoi compiti fondamentali è l'educazione politica della società, che deve riguardare problemi concreti e attuali. Quest'arte deve mettere in luce, anche satiricamente, le contraddizioni del capitalismo, per instillare nella società la convinzione che il capitalismo appartiene al passato e che nel comunismo risiede il futuro dell'umanità. Quest'arte deve esaltare la lotta di classe del proletariato e delle classi rivoluzionarie, per infondere loro fiducia in se stessi, per portare le loro lotte a conoscenza di sempre più vasti settori dell'opinione pubblica. Quest'arte deve indicare ai rivoluzionari la via del futuro, la via del socialismo e del comunismo. Questi temi non sono casuali, poichè, a differenza degli elementi indottrinati dalla metafisica borghese (e non anche dei teorici borghesi, perchè questi sanno bene che la concezione metafisica della cultura è sbagliata, ma la sostengono perchè giova ai loro interessi di classe), i comunisti sono pienamente consapevoli del grande ruolo sociale dell'arte e della cultura. Per essi l'arte ha una grande funzione educativa e pedagogica, è parte dell'attività generale della lotta di classe e del fronte ideologico. Proprio per questo Stalin definì gli scrittori come «gli ingegneri delle anime umane». Nel suo discorso d'apertura al I Congresso degli Scrittori sovietici, nel 1934, Andrej Zdanov approfondì questo concetto:

«Il compagno Stalin ha chiamato i nostri scrittori gli “ingegneri delle anime”. Cosa significa ciò? Che obbligo vi impone questo titolo?
Ciò vuol dire, da subito, conoscere la vita del popolo per poterla rappresentare verosimilmente nelle opere d’arte, rappresentarla niente affatto in modo scolastico, morto, non semplicemente come la “realtà oggettiva”, ma rappresentare la realtà nel suo sviluppo rivoluzionario. E qui la verità e il carattere storico concreto della rappresentazione artistica devono unirsi al compito di trasformazione ideologica e di educazione dei lavoratori nello spirito del socialismo. Questo metodo della letteratura e della critica è quello che noi chiamiamo il metodo del realismo socialista.» (Sulla letteratura)

In questa formula è racchiusa l'essenza del realismo socialista. Mai una corrente artistica fu così denigrata dagli ideologi del capitalismo quanto il realismo socialista. Non è un fatto casuale. I capitalisti temono un'arte che possa mettere in evidenza il logoramento del loro sistema, temono una cultura che possa realmente avvicinare le masse alle questioni politiche. Per lo stesso motivo hanno costruito, nei cieli della sovrastruttura, tutta la schiera delle loro ideologie: la «libertà artistica», «l'arte per l'arte» e altri simili ritrovati della più sorpassata filosofia idealistica. Dall'alto del loro Olimpo ideologico e reazionario, ci accusano di «oscurantismo». Possiamo rispondere con le parole di Roderigo di Castiglia (pseudonimo di Palmiro Togliatti): “Sono di Zdanov alcuni discorsi e scritti di critica letteraria e artistica, dove si sostiene, per dirla con due parole, che l’arte dev'essere specchio dalla realtà sociale. Perché proprio questa posizione dev'essere «oscurantista» e non la posizione opposta, per esempio? E' partendo dalla posizione opposta, se non altro, cha vengono esaltate come grandi opere d’arte, opere dove proprio tutto è oscuro, perchè la comune degli uomini non ci capisce nulla.” (“Vittorini se n’è ghiuto, E soli ci ha lasciato!…, Rinascita, agosto-settembre 1951, n. 8-9)

I borghesi si scandalizzano facilmente per la «violenza oratoria» di Zdanov e dei suoi sostenitori. Si può rispondere loro con le parole di Emilio Sereni:

Non è il tono dei nostri cortesi critici da salotto, che Andrei Zdanov usava nella sua lotta contro i residui della vecchia cultura, ma quello stesso tono che egli usava contro i kulak, al tempo della lotta per la collettivizzazione; contro gli hitleriani e contro i loro agenti, contro gli imperialisti americani e contro i traditori del socialismo. Perchè per Andrei Zdanov, per i popoli sovietici, per i lavoratori del mondo intiero, la cultura non è qualcosa di separato dalla vita e dalla lotta, è qualcosa che importa per la vita e per la lotta, come la costruzione e la difesa delle fabbriche, dei colcos, del socialismo.” (Prefazione a Politica e ideologia)

Questo è quanto. Loro vogliono che la cultura sia separata dalla vita sociale e che diventi un'attività ludica, di sterile godimento, un altro oppio dei popoli. Noi vogliamo che la cultura sia parte integrante della lotta di classe e che aiuti il popolo a liberarsi dallo sfruttamento e dall'alienazione. Chi avrà ragione? Ai posteri l'«arduo» giudizio! Ma ogni vero marxista cosciente sa già in anticipo a chi darà ragione la storia!

Si addice forse a noi, rappresentanti della cultura sovietica progressiva, patrioti sovietici, la parte di chi si inchina alla cultura borghese o la parte di suoi discepoli? Al contrario, la nostra letteratura, che riflette una struttura più elevata di qualsiasi struttura democratico-borghese, una cultura molte volte più alta della cultura borghese, ha il diritto di insegnare agli altri la nuova morale umana universale.” (Andrei Zdanov, Rapporto sulle riviste Zviezdà e Leningrad)

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Klim Voroshilov
view post Posted: 2/1/2012, 14:43 Arte e cultura nella teoria marxista - La voce del popolo

Arte e cultura nella teoria marxista


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In questo campo potrebbe rivelarsi, almeno inizialmente, difficile ritrovare la bussola del marxismo, poichè innumerevoli teorici - primo tra tutti, naturalmente, Trotski - hanno apportato una confusione incredibile, rendendo difficile un'esatta definizione del pensiero e, soprattutto, della prassi marxista nei riguardi della cultura e dell'arte; inoltre, come avrò modo di argomentare in seguito, la «questione culturale» è un tema particolarmente sentito nel momento attuale e la classe dominante è seriamente impegnata, per ovvi fini, a favore degli stravolgimenti teorici ai quali ho appena accennato. Permettetemi di fare un esempio di queste deformazioni teoriche. Nell'articolo di A. Breton e L. Trotsky Per un’arte rivoluzionaria indipendente è detto:

“E’ più che mai opportuno valersi di questa dichiarazione contro coloro che pretendono di assoggettare l’attività intellettuale a fini estranei all’attività stessa e, in spregio a tutte le determinazioni storiche che le sono proprie, a controllare, in funzione di pretese ragioni di stato, i temi dell’arte. (…) a coloro che si spingessero, oggi o domani, ad acconsentire che l’arte sia sottoposta ad una disciplina che consideriamo radicalmente incompatibile con i suoi mezzi, opponiamo un rifiuto senza appello e la nostra volontà deliberata di far valere la formula: nessuna licenza in arte”.

Quindi, se l'attività sociale e la lotta di classe sono «fini estranei all'attività stessa» (artistica e intellettuale), se la teoria dell'«arte per l'arte» è una teoria marxista, se Lenin sosteneva il futurismo, se il realismo socialista altro non era che una «bruttura staliniana» e Zdanov era un moderno Torquemada, che cosa resta nell'arsenale del marxismo per la «questione culturale»? E' chiaro che non si tratta di un'arsenale per la lotta contro l'ideologia borghese.

Secondo il marxismo, l'arte e la cultura sono parte della sovrastruttura e, quindi, riflettono la vita sociale della base economica. Secondo le parole di G.V. Plekhanov:

“Ogni opera letteraria è espressione del proprio tempo. Il suo contenuto e la sua forma sono determinati dai gusti, dalle abitudini e dalle aspirazioni di quel tempo, e quanto è più grande lo scrittore, tanto più forte e più evidente appare la dipendenza del carattere delle sue opere dal carattere del suo tempo, e cioè, per dirla in altre parole, tanto minore appare nelle sue opere quel «residuo» che si potrebbe chiamare «personale».” (Note sulla storia della letteratura francese del Lanson)

In queste brevi frasi è sintetizzata la concezione marxista del rapporto tra attività artistica e vita sociale. Ovviamente, come ci ricorda Marx, sarebbe errato stabilire una corrispondenza meccanica tra di esse: “Per l'arte, è noto che determinati suoi periodi di fioritura non stanno assolutamente in rapporto con lo sviluppo generale della società, nè quindi con la base materiale, con l'ossatura per così dire della sua organizzazione.” (L'ideologia tedesca)

Marx rifugge dal meccanicismo, ma afferma altresì l'importantissimo ruolo della vita sociale nello sviluppo dell'arte: “La concezione della natura e dei rapporti sociali, che stanno al fondo della fantasia e, quindi, della mitologia greche son forse compatibili con le filatrici automatiche, con le ferrovie, le locomotive e i telegrafi elettrici? Dove può andare a cacciarsi Vulcano di fronte a Roberts and Co., e Giove di fronte ai parafulmini ed Ermes di fronte al Crédit mobilier? [...] è forse possibile Achille quando esistono polvere da sparo e piombo? O in generale l’Iliade con il torchio e la macchina da stampa? Con il torchietto da stampa non finiscono necessariamente il canto, la leggenda e la Musa? Non scompaiono, insomma, le condizioni necessarie della poesia epica?” (Introduzione ai «Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica»)

Se non vi è una dipendenza meccanica dell'arte dalla vita sociale, esiste indiscutibilmente una determinazione in ultima istanza. Il dogma borghese della «libertà artistica» è così confutato; ma non finisce qui: nelle teorie artistiche borghesi si esalta la «libertà artistica» consentita dal capitalismo, ma che cos'è realmente l'opera d'arte nel capitalismo? Chi è l'artista nel capitalismo? L'opera d'arte è una merce come tutte le altre; così come l'operaio salariato vende la propria forza-lavoro, l'artista vende le proprie opere o la propria «capacità artistica».

“Prendiamo il problema della vendita delle opere d'arte. Il fatto che l'artista sia costretto a considerare la sua attività creativa da questo punto di vista non è una norma data una volta per sempre, ma una disgrazia, una vergogna che trae origine dall’ordinamento sociale diviso in classi. L'artista dovrebbe impegnarsi con tutta l'anima a svincolare la sua opera dalla umiliante schiavitù della bistecca quotidiana.” (A. Lunaciarskij, L'arte)

Nel capitalismo l'artista non produce per se stesso o per la società, ma per il mercato. Egli non può nemmeno essere fruitore di quel margine di «autonomia» concesso dalla determinazione in ultima istanza, in quanto è costretto a produrre secondo le preferenze del pubblico e non secondo la propria aspirazione. Il capitalismo è una pastoia per l'attività artistica: esso non solo non la libera, ma la trasforma in un mestiere e rende l'artista schiavo del mercato. Pertanto, la teoria della «libertà artistica» è non solo una concezione idealistica e antiscientifica, ma una vera e propria ideologia reazionaria, una falsa coscienza il cui fine è la perpetuazione dello status quo. Essa abbellisce il capitalismo in modo funzionale alla classe dominante, in modo da ingannare il popolo. Tale è il vero carattere della «libertà artistica» di cui gli ideologi borghesi si riempono la bocca quando attaccano il realismo socialista. A questi apologeti del capitalismo si può rispondere con le parole di Lenin:

«Vivere nella società ed essere liberi dalla società non è possibile. La libertà dello scrittore, dell'artista, dell'attrice borghese è soltanto una dipendenza mascherata (o ipocritamente mascherata) dai portafogli ben forniti, da coloro che li corrompono e li mantengono». (Organizzazione di partito e letteratura di partito)

Ma questo è solo uno degli aspetti della «questione culturale». Se è vero che, secondo il marxismo, la sovrastruttura esercita un'influenza di rimando sulla base, anche la cultura e l'arte, essendo parte della sovrastruttura, influenzano la vita sociale e la mentalità delle persone. Qual è quindi la funzione sociale dell'arte? Secondo le parole dello scrittore russo Cerniscevski:

“L’arte, o per meglio dire la poesia (solo la poesia, in quanto le altre arti sotto questo rapporto fanno ben poco), diffonde nella massa dei lettori un’imponente quantità di conoscenze, nonché cosa ancora più importante — la cognizione di concetti elaborati dalla scienza; in ciò appunto consiste il grande significato della poesia per la vita.” (citato in Arte e vita sociale di G.V. Plekhanov)

Ben si comprende quale enorme importanza sociale abbiano, oggi più che un tempo, l'arte e la cultura. Esse possono essere utilizzate per inculcare nel proletariato la morale conservatrice o lo slancio rivoluzionario, per inculcare nei giovani una concezione dionisiaca della vita o una profonda coscienza politica. Esse possono diffondere idee metafisiche circa l'«eternità della proprietà privata» oppure una visione organica delle contraddizioni del capitalismo. Oggi, quando la musica leggera ha sostituito la poesia, quando il film ha sostituito il teatro, quando la produzione artistica ha un carattere centralizzato e di massa, tale importanza è ancora più evidente. Anche i capitalisti ne sono consapevoli e per questo si sono apprestati a creare la propria egemonia culturale; «... in quanto dominano come classe e determinano l'intero ambito di un'epoca storica, è evidente che essi lo fanno in tutta la loro estensione, e quindi fra l'altro dominano anche come pensanti, come produttori di idee che regolano la produzione e la distribuzione delle idee del loro tempo; è dunque evidente che le loro idee sono le idee dominanti dell'epoca» (K. Marx, L'ideologia tedesca).

Ovviamente i capitalisti non vogliono che questo loro dominio culturale sia troppo evidente, per cui lo mascherano con l'ideologia della «libertà artistica», facendo un tuttuno di possibilità e realtà. A questa ideologia reazionaria si accompagna la teoria dell'«arte per l'arte», che vede l'attività artistica come un fenomeno isolato, metafisicamente, astraendo dalla vita sociale. Tale visione è antiscientifica da cima a fondo, perchè negare il ruolo dell'arte e della cultura nella società significa negare che la conoscenza delle opere di Omero fosse un requisito imprescindibile per gli intellettuali greci ed ellenistici, negare che i film catastrofisti avessero e abbiano una grande influenza sulle opinioni degli occidentali e riforniscano di «argomenti» il clericalismo e l'oscurantismo (e le speculazioni ad essi collegate), negare che l'odierna musica leggera eserciti un'influenza assuefacente sui giovani. Ci troviamo quindi di fronte ad un'altra forma di falsa coscienza, di fronte ad un'altra ideologia. Il vero scopo di questa ideologia è il cammuffamento dell'influenza esercitata dalla cultura borghese sulla società, di un'influenza tesa a prolungare lo status quo.

Per sviluppare l'influenza della propria cultura sulla società nel modo più organico possibile e rafforzare il proprio dominio, il capitalismo non ha bisogno di un'arte qualsiasi, ma di una tendenza precisa dell'arte: il formalismo. Che cos'è il formalismo? E' la tendenza alla «ricerca della bella forma priva di contenuto» (A. Zdanov, Rapporto sulle riviste Zviezdà e Leningrad). I borghesi hanno proprio bisogno di un simile tipo di arte: di un'arte che ignori i temi sociali scottanti e che ipnotizzi le masse con la bellezza della sua forma. In questo modo i borghesi possono distrarre il popolo dalla lotta di classe in favore dello sterile godimento di quelle forme artistiche e culturali che diventano, in questo modo, un nuovo oppio del popolo, come era un tempo (ed è ancora oggi) la religione. Le basi sociali dello sviluppo del formalismo sono da ricercare nella natura stessa del sistema capitalistico, che impone una concorrenza spietata nel campo dell'offerta, anche di quella culturale e artistica.

“Nel nevrastenico ventesimo secolo assistiamo ad un fenomeno straordinariamente originale. Fin dall'inizio del secolo le correnti artistiche si sono avvicendate con estrema rapidità. Quasi ogni anno avevamo una nuova scuola. I giovani, nell'ansia di scoprire nuove sponde », trascuravano molto spesso ciò che si chiama maestria. [...] Non c'è quasi nessuno che lavori sul serio, che riesca a spuntarla con l'aspetto mestieristico dell'arte, che acquisti la perizia tradizionale. In tutte le epoche, quando l'arte era in manifesta decadenza, perdeva la tradizione e si trasformava in barbarie, gli artisti non dicevano: ora noi dipingiamo e scriviamo peggio della precedente generazione; essi hanno sempre supposto di introdurre nuovi gusti nella vita. Ma la perdita del mestiere è caratteristica di un'epoca di decadenza.
Gli artisti delle vecchie generazioni hanno ragione di affermare che i giovani vogliono farsi largo mostrandosi originali. Uno sbarbatello che ha ancora il latte alla bocca vuole già essere un maestro. Se tira fuori qualche trucco nuovo, magari affatto scombinato, ma che contiene lo schema di una teoria improvvisata in quattro e quattr'otto o qualche combinazione di parole che dovrebbe servire da chiave alle sue scoperte, egli trova sempre due o tre altri giovanotti più stupidi di lui, incapaci perfino di combinare quel poco di originale che lui ha « scoperto »; e sono proprio loro a correre verso il nuovo giovane « maestro », ancor privo di discepoli, davanti al quale recitare con esito certo la commedia dell'originalità. Cosí nasce una « modernissima scuola ».” (A. Lunaciarskij, L'arte)

Tale era la situazione all'inizio del '900. Tali sono gli effetti del capitalismo sull'attività artistica e le basi sociali del formalismo. Oggi, quando i mezzi di comunicazione moderni diffondono la produzione artistica (in particolare la musica) in ogni dove, la situazione è piuttosto simile, e ciò è testimoniato dal frenetico conformismo a certe «mode» e ai certi «stili di vita», diffuso soprattutto tra i giovani. Così stando le cose, si può constatare come le «scomuniche» di Andrej Zdanov contro i formalisti sovietici non erano immotivate. Anzi, Zdanov aveva previsto le estreme conseguenze del formalismo che sono oggi sotto gli occhi di tutti con grande lungimiranza. I falsificatori del marxismo hanno creato un leggenda secondo cui il formalismo sarebbe un'invenzione dello «stalinismo» per rafforzare il suo «totalitarismo» e i marxisti precedenti non lo avrebbero criticato. Tali opinioni sono facilmente confutabili mediante le opere di Plekhanov e Lunaciarskij, che contengono dure critiche al formalismo, come la seguente:

“Un individuo che ritiene che una combinazione di colori e di linee abbia un valore a se stante, lo dobbiamo considerare o un giovincello, che non ha niente da versare nemmeno nella botte più nuova, o un mezzo cadavere deambulante, infatuato delle forme, perché è sopravvissuto alla perdita del proprio contenuto interiore. Aveva perfettamente ragione Cechov nel dire che l'arte contemporanea ha perduto «Iddio», che non sa cosa insegnare, che non ama niente, che è senza idee e che in queste condizioni nemmeno il più valente maestro può essere artista.

Chi non sa pensare attraverso le immagini, chi non è capace di riversare negli stampi delle immagini il metallo fuso della esperienza e delle sensazioni è tutto fuorché un artista. Non può essere altro che un «maestro», nel senso che è capace di attuare determinate combinazioni che forse potranno in parte servire ad altri artisti, quelli veri.

Questa voluta mancanza di contenuto, questa teoria di una «libera» associazione di linee, suoni o parole senza un contenuto interiore (a furia di rimbalzi si è arrivati a scacciare la letteratura... dalla letteratura), sono appunto quei tratti del futurismo che lo fanno considerare dalla gente autenticamente nuova un vecchiume, un raffinatissimo dessert, servito dopo il pranzo borghese, un frutto della vuota cultura borghese, pronta a servire lingue d'usignolo, perché ormai tutto il resto sembra insipido e banale.” (A. Lunaciarskij, L'arte)

Anche Lenin, come testimoniato dal libro di Lunaciarskij Lenin e l'arte, aveva punti di vista simili.

Con il formalismo, per la sua stessa natura, effetti e origine, non si può applicare il principio dell'identità degli aspetti della contraddizione, non si può cioè impiegarlo nell'arsenale della cultura proletaria. Come gioverebbe al proletariato un'arte che distrae le masse dai problemi concreti? Su quali basi sorgerebbe una simile arte in assenza delle leggi economiche del capitalismo? E' chiaro che il formalismo è dunque incompatibile con la cultura proletaria.

Il quesito che quindi si pone è: qual è la corrente artistica più adatta alla cultura proletaria? Quali argomenti rappresentabili nell'arte son utili al movimento comunista?

“La via del realismo è la via della protesta reale. La borghesia ha mostrato simpatia nei suoi confronti solo fino a quando essa stessa non ha perduto la patina rivoluzionaria. [...] L'ulteriore smascheramento satirico dell'ordinamento borghese comincia ad infastidire la borghesia e, forse, anche i suoi avversari, i quali scrivono che in questa direzione l'essenziale è già stato fatto. [...] L'artista proletario rappresenterà anche il modo di vita operaio, ma non sarà la miseria ad attrarre in primo luogo la sua attenzione, bensì l'aspetto combattivo della vita proletaria. La rappresentazione della lotta, degli sforzi titanici, dello slancio e della tenacia, dello spirito innovatore che sorride ora indignato ora raggiante, costituirà gran parte dei motivi da elaborare. [...] Quali sono i principali elementi dello stato d'animo sociale dei socialisti? In primo luogo, essi odiano l'ordinamento sociale che ha fatto il suo tempo. Perciò l'elemento sferzante, satirico sarà presente anche nell'arte proletaria. In secondo luogo, essi lottano per un mondo nuovo. Perciò la lotta, come ho già detto, avrà un posto centrale tra i temi del nuovo artista. In terzo luogo, essi prevedono, seppur nello « specchio magico », soltanto questo mondo nuovo, migliore. [...] Illuminare tutti gli aspetti della vita odierna con la luce della critica spietata, però non con la critica del rinnegato preso dalla disperazione, bensì con quella del nemico cosciente del vecchio mondo che lotta per il nuovo, prediletto; dare una chiara immagine della lotta proletaria ed anche della lotta dei predecessori del proletariato, e, in generale, mostrare la psicologia della lotta, della distruzione e della creazione in tutta la loro inesauribile molteplicità; ciò facendo, porre in luce come nuovo elemento, la stupenda socialità, la nuova fratellanza alla quale siamo, sì, educati dalla fredda macchina senza anima, ma che è, tuttavia, calda e colma di grazia spirituale; porre in luce la ferrea integrità della nuova anima — l'anima del combattente — il suo coraggio senza limite, la sua fondamentale gaiezza, la serenità... e le tante altre cose gentili, commoventi e altamente tragiche che vi sono in quest'anima; dipingere grandi e piccoli quadri del futuro agognato, i profili dei nipoti « raddrizzati », le immagini della saggia gioia di vivere, delle nuove ansie, dell'amore perduto... (Ma è forse possibile elencare solo la milionesima parte dei temi del futuro?); e, cosa essenziale, dare una lieta pregustazione di quella vasta, intima, universale fratellanza verso la quale il proletariato conduce il mondo attraverso il socialismo. Ecco alcuni compiti dell'arte socialista, di cui attenderemo e osserveremo con trepidazione i primi passi.” (A. Lunaciarskij, I compiti dell'arte socialdemocratica)

In queste frasi di Lunaciarskij, tratte da un articolo del 1907, sono efficaciemente sintetizzati i temi dell'arte proletaria. Quest'arte deve essere realistica, in quanto uno dei suoi compiti fondamentali è l'educazione politica della società, che deve riguardare problemi concreti e attuali. Quest'arte deve mettere in luce, anche satiricamente, le contraddizioni del capitalismo, per instillare nella società la convinzione che il capitalismo appartiene al passato e che nel comunismo risiede il futuro dell'umanità. Quest'arte deve esaltare la lotta di classe del proletariato e delle classi rivoluzionarie, per infondere loro fiducia in se stessi, per portare le loro lotte a conoscenza di sempre più vasti settori dell'opinione pubblica. Quest'arte deve indicare ai rivoluzionari la via del futuro, la via del socialismo e del comunismo. Questi temi non sono casuali, poichè, a differenza degli elementi indottrinati dalla metafisica borghese (e non anche dei teorici borghesi, perchè questi sanno bene che la concezione metafisica della cultura è sbagliata, ma la sostengono perchè giova ai loro interessi di classe), i comunisti sono pienamente consapevoli del grande ruolo sociale dell'arte e della cultura. Per essi l'arte ha una grande funzione educativa e pedagogica, è parte dell'attività generale della lotta di classe e del fronte ideologico. Proprio per questo Stalin definì gli scrittori come «gli ingegneri delle anime umane». Nel suo discorso d'apertura al I Congresso degli Scrittori sovietici, nel 1934, Andrej Zdanov approfondì questo concetto:

«Il compagno Stalin ha chiamato i nostri scrittori gli “ingegneri delle anime”. Cosa significa ciò? Che obbligo vi impone questo titolo?
Ciò vuol dire, da subito, conoscere la vita del popolo per poterla rappresentare verosimilmente nelle opere d’arte, rappresentarla niente affatto in modo scolastico, morto, non semplicemente come la “realtà oggettiva”, ma rappresentare la realtà nel suo sviluppo rivoluzionario. E qui la verità e il carattere storico concreto della rappresentazione artistica devono unirsi al compito di trasformazione ideologica e di educazione dei lavoratori nello spirito del socialismo. Questo metodo della letteratura e della critica è quello che noi chiamiamo il metodo del realismo socialista.» (Sulla letteratura)

In questa formula è racchiusa l'essenza del realismo socialista. Mai una corrente artistica fu così denigrata dagli ideologi del capitalismo quanto il realismo socialista. Non è un fatto casuale. I capitalisti temono un'arte che possa mettere in evidenza il logoramento del loro sistema, temono una cultura che possa realmente avvicinare le masse alle questioni politiche. Per lo stesso motivo hanno costruito, nei cieli della sovrastruttura, tutta la schiera delle loro ideologie: la «libertà artistica», «l'arte per l'arte» e altri simili ritrovati della più sorpassata filosofia idealistica. Dall'alto del loro Olimpo ideologico e reazionario, ci accusano di «oscurantismo». Possiamo rispondere con le parole di Roderigo di Castiglia (pseudonimo di Palmiro Togliatti): “Sono di Zdanov alcuni discorsi e scritti di critica letteraria e artistica, dove si sostiene, per dirla con due parole, che l’arte dev'essere specchio dalla realtà sociale. Perché proprio questa posizione dev'essere «oscurantista» e non la posizione opposta, per esempio? E' partendo dalla posizione opposta, se non altro, cha vengono esaltate come grandi opere d’arte, opere dove proprio tutto è oscuro, perchè la comune degli uomini non ci capisce nulla.” (“Vittorini se n’è ghiuto, E soli ci ha lasciato!…, Rinascita, agosto-settembre 1951, n. 8-9)

I borghesi si scandalizzano facilmente per la «violenza oratoria» di Zdanov e dei suoi sostenitori. Si può rispondere loro con le parole di Emilio Sereni:

Non è il tono dei nostri cortesi critici da salotto, che Andrei Zdanov usava nella sua lotta contro i residui della vecchia cultura, ma quello stesso tono che egli usava contro i kulak, al tempo della lotta per la collettivizzazione; contro gli hitleriani e contro i loro agenti, contro gli imperialisti americani e contro i traditori del socialismo. Perchè per Andrei Zdanov, per i popoli sovietici, per i lavoratori del mondo intiero, la cultura non è qualcosa di separato dalla vita e dalla lotta, è qualcosa che importa per la vita e per la lotta, come la costruzione e la difesa delle fabbriche, dei colcos, del socialismo.” (Prefazione a Politica e ideologia)

Questo è quanto. Loro vogliono che la cultura sia separata dalla vita sociale e che diventi un'attività ludica, di sterile godimento, un altro oppio dei popoli. Noi vogliamo che la cultura sia parte integrante della lotta di classe e che aiuti il popolo a liberarsi dallo sfruttamento e dall'alienazione. Chi avrà ragione? Ai posteri l'«arduo» giudizio! Ma ogni vero marxista cosciente sa già in anticipo a chi darà ragione la storia!

Si addice forse a noi, rappresentanti della cultura sovietica progressiva, patrioti sovietici, la parte di chi si inchina alla cultura borghese o la parte di suoi discepoli? Al contrario, la nostra letteratura, che riflette una struttura più elevata di qualsiasi struttura democratico-borghese, una cultura molte volte più alta della cultura borghese, ha il diritto di insegnare agli altri la nuova morale umana universale.” (Andrei Zdanov, Rapporto sulle riviste Zviezdà e Leningrad)

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Klim Voroshilov
view post Posted: 16/11/2011, 22:33 Intervista a Nikolaj Enveric Dimitrov - La voce del popolo
Intervista a Nikolaj Enveric Dimitrov, Commissario del Popolo per gli affari esteri,

a cura di Klim Voroshilov, Commissario del Popolo per la cultura e la diffusione della dottrina marxista-leninista




Innanzitutto la ringrazio vivamente per avere deciso di intervistarmi:in questo modo potro' infatti informare tutti i cittadini della Repubblica Comunista Sovietica circa i nostri prossimi progetti governativi nell'ambito delle relazioni estere.Cio' premesso,mi accingo a rispondere alle domande che mi sono state poste:

1) Compagno Commissario, quali progetti intende mettere in pratica nel suo incarico agli affari esteri? Quali sono le sue opinioni sulla situazione delle altre Micronazioni italiofone?

Come prima cosa,nell'ambito delle nostre relazioni estere con le altre Micronazioni italofone,ho intenzione di proporre la creazione di un'ambasciata presso Nueva Espana ,nonchè il tentativo di avvio di trattative diplomatiche con lo Smora,nella speranza di ottenere un trattato di mutuo riconoscimento ed un'ulteriore ambasciata in questa Micronazione.Per il momento,queste sono almeno le proposte che ritengo certe,ho sempre pensato che una micronazione dovesse spaziare quanto più possibile nelle relazioni estere,di conseguenza non escludo affatto la possibilità di ulteriori idee in grado di rilanciare l'immagine della nostra gloriosa Micronazione sul piano intermicronazionale.

Attualmente,la situazione risulta essere particolarmente difficile per buona parte delle micronazioni italofone,le quali sono afflitte da problematiche relative alla gestione interna e all'esigua presenza di membri attivi,il cui numero è letteralmente in caduta libera;cio' ricade negativamente sulla posizione delle Micronazioni stesse all'interno della classifica dei forum,causandone il declino.A cosa è dovuto tutto cio'?Nella maggior parte dei casi tale situazione è dovuta alle costanti divergenze e ai continui litigi fra i membri delle micronazioni, i quali,in questo caso,cessano di collaborare con i cittadini che considerano nemici,spesso dando vita a vere e proprie secessioni,in grado di peggiorare ulteriormente la già gravosa situazione:è questo il caso,ad esempio,della Repubblica di Vitla,il cui destino è a tutti noi oramai noto.In questo campo,la nostra Repubblica rappresenta una vera e propria eccezione:in quest'ultimo periodo,mentre le altre Micronazioni erano afflitte dalla profonda crisi che le vede soggette,sin dalla stagione estiva,ad una rilevante inattività,la RCS ha conosciuto un enorme sviluppo,sia dal punto di vista delle iscrizioni,le quali hanno superato i 100 membri,che da quello della classifica dei Forum,che ci ha visto superare gloriosamente la soglia della 1000a posizione.Tale differenza è dovuta principalmente al fatto che la nostra Repubblica si è da sempre basata sulla collaborazione fra i cittadini,l'unità politica e la centralità democratica delle sue istituzioni,grazie alle quali è stato subito possibile ricreare un ambiente forte,sereno e ben difeso dagli attacchi esterni.La crisi delle altre Micronazioni non ha fatto che rendere palese cio':se inizialmente i loro rappresentanti hanno ricollegato tale periodo alle peculiarità della stagione estiva,sperando in una consistente ripresa autunnale,in seguito essi hanno dovuto prendere atto della situazione,elaborando diverse strategie che permettessero alle rispettive Micronazioni di sopravvivere.In buona parte dei casi si è ricorso ad un'estrema radicalizzazione del potere,spesso affidato ad organi istituzionali di emergenza,come nel caso di Res Publica,in altri casi il ristretto numero di membri e l'adottamento di una linea comune ha permesso il superamento di tale situazione.

Auspico vivamente che da tali eventi possa scaturire una nuova volontà intermicronazionalista da parte di tutte le micronazioni,che certamente non deve portare alla rielaborazione di progetti oramai difficili da attuare,come l'UMI,bensi' al riconoscimento e la mutua collaborazione fra di esse.

2) Quali sono le sue opinioni sulla conduzione dello spam della nostra Micronazione? Sono maggiori i lati positivi o quelli negativi?

Personalmente ho sempre considerato lo spam uno dei mezzi più importanti di cui una Micronazione disponga per aprire le proprie porte agli altri utenti e farsi conoscere dalle altre realtà micronazionali.Nel caso particolare della RCS posso dirmi estremamente soddisfatto per l'ottimo lavoro svolto da coloro che s'impegnano con ardore per diffondere il nostro nome e le nostre idee,cui vanno certamente tutti i miei complimenti.Quando mi sono presentato alle elezioni per la Segreteria del PCB ho proposto ,fra le altre cose,la creazione di un apposito registro nel quale rilegare in maniera ordinata il nome dei forum e delle micronazioni nelle quali è stato diffuso il nostro messaggio di spam,sarei lieto di riproporre tale idea al popolo della RCS,qualora la considerassi effettivamente un'idea utile e valida,in grado di porre ordine in questa enorme attività di diffusione.

Certamente questa "apertura delle porte" ha sia lati positivi che negativi:molto spesso la Repubblica è stata vittima di attacchi da parte di disturbatori provenienti da altri forum,i quali sono stati comunque consegnati alla giustizia per merito del nostro efficente sistema gestionale.Ritengo che essi siano comunque minori in confronto agli aspetti positivi di tale "campagna",per merito della quale la nostra Micronazione è in grado di rendersi nota a tutti i forum che possiedono una sezione predisposta a tale attività,che ovviamente viene poi da essi ricambiata.A mio parere,per porre una soluzione a tale incertezza,occorre scegliere fra due alternative: 1) diffondere il nostro messaggio di spam in tutti i forum e in tutte le Micronazioni possibili,senza pensare troppo alle possibili conseguenze ed ottenendo quindi il massimo effetto in rapporto alla visibilità 2) effettuare una scelta più selezionata dei destinatari di tale messaggio,evitando magari i forum opposti da un punto di vista ideologico.Personalmente,appoggio con sicurezza la prima opzione,non temendo attacchi di disturbatori esterni:molto spesso lo spam totale ci permette di dare avvio a discussioni proficue,con le quali poter difendere le posizioni politiche della nostra Micronazione,senza contare che,nella maggior parte dei casi,la lotta contro un nemico comune favorisce la coesione del nostro gruppo,la cui unità ci permette di progredire e collaborare all'insegna dello sviluppo e la cooperazione.

3) Che cosa ne pensa delle discussioni condotte fuori dalla Micronazione con utenti di altri forum in difesa del marxismo-leninismo, la più celebre delle quali fu "Fascismo Vs. Comunismo" con HK Industries?

Ho già affermato l'importanza di tali discussioni e la ribadisco con fermezza.Lottare per difendere cio' in cui crediamo ci rende molto più uniti e solidali,permettendoci a volte di superare piccole divergenze,impegnandoci insieme nella strenua battaglia che ci vede protagonisti, per la diffusione della realtà storica,da secoli offuscata dalla propaganda borghese.Uno dei nostri massimi obiettivi deve essere appunto quello di dialogare,al fine di difendere la verità relativa al Marxismo-leninismo e all'opera di coloro che s'impegnarono attivamente durante la loro vita nella realizzazione del sistema socialista e il raggiungimento della società comunista.

4) Quali miglioramenti sono attuabili, secondo lei, nella nostra gestione interna?


Rispondo riprendendo nuovamente una delle mie proposte per l'elezione alla carica di Segretario Generale del PCB,detenuta tutt'ora dal Compagno Leonid Brezhnev.Durante le elezioni affermai il desiderio di bloccare definitivamente il programma delle onorificenze:è una proposta che rinnovo,poichè la ritengo fondamentale per il mantenimento del clima di serenità e unione che rende forte la nostra RCS e ne assicura lo sviluppo.Per il resto, ritengo che l'organizzazione della Repubblica Comunista Sovietica risulti essere solida e ben strutturata.Ovviamente il buon funzionamento delle istituzioni dipenderà dall'azione dei rispettivi dirigenti,cui vanno i miei migliori auguri per un buon lavoro ed un ottimo esercizio del mandato affidato.

5) Quali sono, secondo lei, le prospettive per la collaborazione con la DDR? Come vede le proposte di spam e difesa combinati?

La DDR si è dimostrata da subito una Micronazione con i nostri stessi ideali politici e filosofici.L'alleanza instaurata con tale Micronazione ha costituito un importante passo in avanti della RCS,la quale ha avuto modo di supportarne la crescita,ottenendo in cambio un mutuo rapporto di amicizia e collaborazione.Spero vivamente che il futuro riservi per noi rapporti solidi e duraturi,grazie ai quali sia possibile superare insieme ogni difficoltà che si dovesse presentare sul nostro cammino congiunto di Micronazioni sorelle,basate entrambe sugli ideali del Marxismo-Leninismo.

Considerato cio',non posso che accogliere con immensa gioia le proposte di spam e difesa congiunti,in quanto essi costituirebbero certamente un valido mezzo di consolidamento della nostra alleanza,la quale garantirebbe inoltre dei preziosi risvolti positivi per le singole parti.

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Spero di aver risposto in maniera esauriente alle sue domande.Le auguro un buon lavoro sia come Direttore del Giornale che come Commissario del Popolo per la Cultura e la Diffusione della Dottrina Marxista-leninista.

Edited by Klim Voroshilov - 17/11/2011, 14:54
view post Posted: 16/11/2011, 22:32 Intervista a Nikolaj Enveric Dimitrov - Articoli riguardanti la micronazione
Intervista a Nikolaj Enveric Dimitrov, Commissario del Popolo per gli affari esteri,

a cura di Klim Voroshilov, Commissario del Popolo per la cultura e la diffusione della dottrina marxista-leninista




Innanzitutto la ringrazio vivamente per avere deciso di intervistarmi:in questo modo potro' infatti informare tutti i cittadini della Repubblica Comunista Sovietica circa i nostri prossimi progetti governativi nell'ambito delle relazioni estere.Cio' premesso,mi accingo a rispondere alle domande che mi sono state poste:

1) Compagno Commissario, quali progetti intende mettere in pratica nel suo incarico agli affari esteri? Quali sono le sue opinioni sulla situazione delle altre Micronazioni italiofone?

Come prima cosa,nell'ambito delle nostre relazioni estere con le altre Micronazioni italofone,ho intenzione di proporre la creazione di un'ambasciata presso Nueva Espana ,nonchè il tentativo di avvio di trattative diplomatiche con lo Smora,nella speranza di ottenere un trattato di mutuo riconoscimento ed un'ulteriore ambasciata in questa Micronazione.Per il momento,queste sono almeno le proposte che ritengo certe,ho sempre pensato che una micronazione dovesse spaziare quanto più possibile nelle relazioni estere,di conseguenza non escludo affatto la possibilità di ulteriori idee in grado di rilanciare l'immagine della nostra gloriosa Micronazione sul piano intermicronazionale.

Attualmente,la situazione risulta essere particolarmente difficile per buona parte delle micronazioni italofone,le quali sono afflitte da problematiche relative alla gestione interna e all'esigua presenza di membri attivi,il cui numero è letteralmente in caduta libera;cio' ricade negativamente sulla posizione delle Micronazioni stesse all'interno della classifica dei forum,causandone il declino.A cosa è dovuto tutto cio'?Nella maggior parte dei casi tale situazione è dovuta alle costanti divergenze e ai continui litigi fra i membri delle micronazioni, i quali,in questo caso,cessano di collaborare con i cittadini che considerano nemici,spesso dando vita a vere e proprie secessioni,in grado di peggiorare ulteriormente la già gravosa situazione:è questo il caso,ad esempio,della Repubblica di Vitla,il cui destino è a tutti noi oramai noto.In questo campo,la nostra Repubblica rappresenta una vera e propria eccezione:in quest'ultimo periodo,mentre le altre Micronazioni erano afflitte dalla profonda crisi che le vede soggette,sin dalla stagione estiva,ad una rilevante inattività,la RCS ha conosciuto un enorme sviluppo,sia dal punto di vista delle iscrizioni,le quali hanno superato i 100 membri,che da quello della classifica dei Forum,che ci ha visto superare gloriosamente la soglia della 1000a posizione.Tale differenza è dovuta principalmente al fatto che la nostra Repubblica si è da sempre basata sulla collaborazione fra i cittadini,l'unità politica e la centralità democratica delle sue istituzioni,grazie alle quali è stato subito possibile ricreare un ambiente forte,sereno e ben difeso dagli attacchi esterni.La crisi delle altre Micronazioni non ha fatto che rendere palese cio':se inizialmente i loro rappresentanti hanno ricollegato tale periodo alle peculiarità della stagione estiva,sperando in una consistente ripresa autunnale,in seguito essi hanno dovuto prendere atto della situazione,elaborando diverse strategie che permettessero alle rispettive Micronazioni di sopravvivere.In buona parte dei casi si è ricorso ad un'estrema radicalizzazione del potere,spesso affidato ad organi istituzionali di emergenza,come nel caso di Res Publica,in altri casi il ristretto numero di membri e l'adottamento di una linea comune ha permesso il superamento di tale situazione.

Auspico vivamente che da tali eventi possa scaturire una nuova volontà intermicronazionalista da parte di tutte le micronazioni,che certamente non deve portare alla rielaborazione di progetti oramai difficili da attuare,come l'UMI,bensi' al riconoscimento e la mutua collaborazione fra di esse.

2) Quali sono le sue opinioni sulla conduzione dello spam della nostra Micronazione? Sono maggiori i lati positivi o quelli negativi?

Personalmente ho sempre considerato lo spam uno dei mezzi più importanti di cui una Micronazione disponga per aprire le proprie porte agli altri utenti e farsi conoscere dalle altre realtà micronazionali.Nel caso particolare della RCS posso dirmi estremamente soddisfatto per l'ottimo lavoro svolto da coloro che s'impegnano con ardore per diffondere il nostro nome e le nostre idee,cui vanno certamente tutti i miei complimenti.Quando mi sono presentato alle elezioni per la Segreteria del PCB ho proposto ,fra le altre cose,la creazione di un apposito registro nel quale rilegare in maniera ordinata il nome dei forum e delle micronazioni nelle quali è stato diffuso il nostro messaggio di spam,sarei lieto di riproporre tale idea al popolo della RCS,qualora la considerassi effettivamente un'idea utile e valida,in grado di porre ordine in questa enorme attività di diffusione.

Certamente questa "apertura delle porte" ha sia lati positivi che negativi:molto spesso la Repubblica è stata vittima di attacchi da parte di disturbatori provenienti da altri forum,i quali sono stati comunque consegnati alla giustizia per merito del nostro efficente sistema gestionale.Ritengo che essi siano comunque minori in confronto agli aspetti positivi di tale "campagna",per merito della quale la nostra Micronazione è in grado di rendersi nota a tutti i forum che possiedono una sezione predisposta a tale attività,che ovviamente viene poi da essi ricambiata.A mio parere,per porre una soluzione a tale incertezza,occorre scegliere fra due alternative: 1) diffondere il nostro messaggio di spam in tutti i forum e in tutte le Micronazioni possibili,senza pensare troppo alle possibili conseguenze ed ottenendo quindi il massimo effetto in rapporto alla visibilità 2) effettuare una scelta più selezionata dei destinatari di tale messaggio,evitando magari i forum opposti da un punto di vista ideologico.Personalmente,appoggio con sicurezza la prima opzione,non temendo attacchi di disturbatori esterni:molto spesso lo spam totale ci permette di dare avvio a discussioni proficue,con le quali poter difendere le posizioni politiche della nostra Micronazione,senza contare che,nella maggior parte dei casi,la lotta contro un nemico comune favorisce la coesione del nostro gruppo,la cui unità ci permette di progredire e collaborare all'insegna dello sviluppo e la cooperazione.

3) Che cosa ne pensa delle discussioni condotte fuori dalla Micronazione con utenti di altri forum in difesa del marxismo-leninismo, la più celebre delle quali fu "Fascismo Vs. Comunismo" con HK Industries?

Ho già affermato l'importanza di tali discussioni e la ribadisco con fermezza.Lottare per difendere cio' in cui crediamo ci rende molto più uniti e solidali,permettendoci a volte di superare piccole divergenze,impegnandoci insieme nella strenua battaglia che ci vede protagonisti, per la diffusione della realtà storica,da secoli offuscata dalla propaganda borghese.Uno dei nostri massimi obiettivi deve essere appunto quello di dialogare,al fine di difendere la verità relativa al Marxismo-leninismo e all'opera di coloro che s'impegnarono attivamente durante la loro vita nella realizzazione del sistema socialista e il raggiungimento della società comunista.

4) Quali miglioramenti sono attuabili, secondo lei, nella nostra gestione interna?


Rispondo riprendendo nuovamente una delle mie proposte per l'elezione alla carica di Segretario Generale del PCB,detenuta tutt'ora dal Compagno Leonid Brezhnev.Durante le elezioni affermai il desiderio di bloccare definitivamente il programma delle onorificenze:è una proposta che rinnovo,poichè la ritengo fondamentale per il mantenimento del clima di serenità e unione che rende forte la nostra RCS e ne assicura lo sviluppo.Per il resto, ritengo che l'organizzazione della Repubblica Comunista Sovietica risulti essere solida e ben strutturata.Ovviamente il buon funzionamento delle istituzioni dipenderà dall'azione dei rispettivi dirigenti,cui vanno i miei migliori auguri per un buon lavoro ed un ottimo esercizio del mandato affidato.

5) Quali sono, secondo lei, le prospettive per la collaborazione con la DDR? Come vede le proposte di spam e difesa combinati?

La DDR si è dimostrata da subito una Micronazione con i nostri stessi ideali politici e filosofici.L'alleanza instaurata con tale Micronazione ha costituito un importante passo in avanti della RCS,la quale ha avuto modo di supportarne la crescita,ottenendo in cambio un mutuo rapporto di amicizia e collaborazione.Spero vivamente che il futuro riservi per noi rapporti solidi e duraturi,grazie ai quali sia possibile superare insieme ogni difficoltà che si dovesse presentare sul nostro cammino congiunto di Micronazioni sorelle,basate entrambe sugli ideali del Marxismo-Leninismo.

Considerato cio',non posso che accogliere con immensa gioia le proposte di spam e difesa congiunti,in quanto essi costituirebbero certamente un valido mezzo di consolidamento della nostra alleanza,la quale garantirebbe inoltre dei preziosi risvolti positivi per le singole parti.

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Spero di aver risposto in maniera esauriente alle sue domande.Le auguro un buon lavoro sia come Direttore del Giornale che come Commissario del Popolo per la Cultura e la Diffusione della Dottrina Marxista-leninista.

Edited by Klim Voroshilov - 17/11/2011, 14:55
view post Posted: 10/9/2011, 22:28 Teoria del socialismo in un solo paese - Articoli scientifici marxisti

Teoria del socialismo in un solo paese



« [...] la società socialista si può affermare anche in un solo paese, anche nelle condizioni del più accanito accerchiamento imperialista, come quello che ha dovuto affrontare l'Unione Sovietica. »

Ernesto Che Guevara in La costruzione del partito



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Tra tutte le teorie del marxismo, quella del socialismo in un solo paese è la più falsificata e strumentalizzata dalla borghesia e dai suoi agenti inflitrati nel movimento comunista. Fare luce sul reale contenuto di questa teoria, demolire le mistificazioni borghesi e riabilitare il vero significato di questa teoria: tale è il compito che questo scritto si pone.

1. Il socialismo in un solo paese nell'elaborazione di Lenin

Vladimir Ilich Lenin, padre del bolscevismo, viene oggi dipinto, nelle ricostruzioni "di sinistra", come un "coerente internazionalista", come un sostenitore della "esportazione della rivoluzione", come un trotskista. In realtà fu proprio Lenin il primo marxista a riconoscere la possibilità di edificare il socialismo in un solo paese; infatti nel suo articolo Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa, nel 1915, scrive:

« L'ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo. Ne risulta che è possibile il trionfo del socialismo all'inizio in alcuni paesi o anche in un solo paese capitalistico, preso separatamente. »

Non è necessaria maggior chiarezza per esprimere questo concetto. Lenin prosegue:

« Il proletariato vittorioso di questo paese, espropriati i capitalisti e organizzata nel proprio paese la produzione socialista, si solleverebbe contro il resto del mondo capitalista, attirando a sé le classi oppresse degli altri paesi, spingendole ad insorgere contro i capitalisti, intervenendo, in caso di necessità, anche con la forza armata contro le classi sfruttatrici ed i loro Stati. »

In tal modo è indicato altrettanto chiaramente il compito del paese socialista nel campo internazionale. Di seguito sarà mostrato come lo stesso punto di vista, espresso però da Stalin, fu duramente contestato dal trotskismo.

Dopo l'articolo succitato, Lenin non si occupò più della questione della vittoria di un socialismo in un solo paese per diverso tempo e in molti suoi scritti, nel periodo immediatamente successivo all'Ottobre, pose l'enfasi sull'espansione della rivoluzione proletaria nell'Europa occidentale. Infatti nelle Tesi di aprile scrive:

"[...] II nostro compito immediato non è l'«instaurazione» del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei soviet dei deputati operai."

Questa tendenza era comune a tutti i teorici bolscevichi in quel periodo, Stalin incluso. Tutto è perfettamente comprensibile, se è vero che edificare il socialismo è più facile nei paesi avanzati che in quelli arretrati.

Lenin però parla del compito immediato dei comunisti russi, quello che per ora (cioè subito dopo la presa di potere) è l'obbiettivo principale. Infatti in seguito modificò il suo punto di vista, aggiornandolo in base alla nuova situazione creatasi dopo la sconfitta delle insurrezioni nell'Europa occidentale.

Nei suoi ultimi scritti, Lenin affronta nuovamente il problema della vittoria del socialismo in un solo paese; in Sulla cooperazione scrive:

« In realtà, il potere dello Stato su tutti i grandi mezzi di produzione, il potere dello Stato nelle mani del proletariato, l'alleanza di questo proletariato con milioni e milioni di contadini poveri e poverissimi, la garanzia della direzione dei contadini da parte del proletariato, ecc., non è forse questo tutto ciò che occorre per potere, con la cooperazione, con la sola cooperazione, che noi una volta consideravamo dall'alto in basso come affare da bottegai e che ora, durante la Nep, abbiamo ancora il diritto, in un certo senso, di considerare allo stesso modo, non è forse questo tutto ciò che è necessario per condurre a termine la costruzione di una società socialista integrale? Questo non è ancora la costruzione della società socialista, ma è tutto ciò che è necessario e sufficiente per condurre a termine la costruzione. »

E ancora:

« I nostri avversari ci hanno detto più volte che noi intraprendiamo un'opera insensata, nel voler impiantare il socialismo in un paese che non è abbastanza colto. Ma si sono ingannati; noi abbiamo cominciato non da dove si doveva cominciare secondo la teoria (di ogni genere di pedanti), e da noi il rivolgimento politico e sociale ha preceduto il rivolgimento culturale, la rivoluzione culturale di fronte alla quale pur tuttavia oggi ci troviamo. »

In Sulla nostra Rivoluzione Lenin scrive:

"[...] è infinitamente banale il loro argomento [dei socialdemocratici. ndr.], studiato a memoria durante lo sviluppo della socialdemocrazia dell'Europa occidentale, secondo il quale noi non saremmo ancora maturi per il socialismo, e secondo il quale da noi non esisterebbero, come dicono diversi signori «scienziati» che militano nelle loro file, le premesse economiche obiettive per il socialismo. E non viene in mente a nessuno di domandarsi: ma un popolo che era davanti a una situazione rivoluzionaria; quale si era creata nella prima guerra imperialista, sotto la spinta di una situazione senza vie di uscita, non poteva forse gettarsi in una lotta che gli apriva almeno qualche speranza di conquistarsi condizioni non del tutto ordinarie per un ulteriore progresso della civiltà?

«La Russia non ha raggiunto il livello di sviluppo delle forme produttive sulla base del quale è possibile il socialismo». Tutti gli eroi della II Internazionale, compreso naturalmente Sukhanov, presentano questa tesi come oro colato. Questa tesi indiscutibile, la rimasticano continuamente e la considerano come decisiva per l'apprezzamento della nostra rivoluzione.

Ma che cosa fare se l'originalità della situazione ha innanzi tutto spinto la Russia nella guerra imperialista mondiale, nella quale erano coinvolti tutti i paesi dell'Europa occidentale che avevano una qualche influenza, e poi creato per il suo sviluppo - sulla soglia della rivoluzione che sta iniziando e in parte è già iniziata in Oriente - condizioni in cui noi potevamo attuare precisamente quella unione della «guerra dei contadini» con il movimento operaio, di cui parlava, come di una prospettiva possibile, un «marxista» come Marx, nel 1856, a proposito della Prussia?"

E ancora:

« Per creare il socialismo, voi dite, occorre la civiltà. Benissimo. Perché dunque da noi non avremmo potuto creare innanzi tutto quelle premesse della civiltà che sono la cacciata dei grandi proprietari fondiari e la cacciata dei capitalisti russi per poi cominciare la marcia verso il socialismo? In quali libri avete letto che simili modificazioni del corso normale della storia sono inammissibili o impossibili? »

Queste tesi di Lenin furono poi alla base dell'elaborazione della teoria del socialismo in un solo paese da parte di Stalin.


2. Stalin e la teorizzazione definitiva del socialismo in un solo paese

Dopo la morte di Lenin fu Stalin a sviluppare le sue riflessioni sulla teoria del socialismo in un solo paese. Caposaldo della teoria staliniana è il definitivo riconoscimento della possibilità di edificare la società socialista anche in un solo paese, chiaramente formulata in Principi del leninismo:

« Prima si considerava impossibile la vittoria della rivoluzione in un solo paese, perché si riteneva che per vincere la borghesia fosse necessaria l’azione comune del proletariato di tutti i paesi avanzati o almeno della maggior parte di essi. Oggi questo punto di vista non corrisponde più alla realtà. Oggi bisogna ammettere la possibilità di una tale vittoria, perché il carattere ineguale, a sbalzi, dellosviluppo dei diversi paesi capitalistici nel periodo dell’imperialismo, lo sviluppo delle catastrofiche contraddizioni interne dell’imperialismo, che generano delle guerre inevitabili, lo sviluppo del movimento rivoluzionario in tutti i paesi del mondo, tutto ciò determina non solo la possibilità, ma l’inevitabilità della vittoria del proletariato in singoli paesi. »

Tuttavia Stalin mette in rilievo anche la neccessità di continuare la lotta di classe su scala internazionale e di appoggiare la vittoria della rivoluzione proletaria in altri paesi:

"Consolidato il proprio potere e tratti dietro a sé i contadini, il proletariato del paese vittorioso può e deve edificare la società socialista. Ma significa forse che con ciò esso arriverà alla vittoria completa, definitiva del socialismo, cioè che esso può, con le forze di un solo paese, consolidare definitivamente il socialismo e garantire completamente il paese dall’intervento straniero e, quindi, dalla restaurazione? No, non significa questo. Per questo è necessaria la vittoria della rivoluzione almeno in alcuni paesi. Perciò lo sviluppo e l’appoggio della rivoluzione negli altri paesi è un compito essenziale della rivoluzione vittoriosa. Perciò la rivoluzionedel paese vittorioso deve considerarsi non come una entità sufficiente a sé stessa, ma come un ausilio, come un mezzo atto ad accelerare la vittoria del proletariato negli altri paesi.
Lenin espresse questo pensiero in due parole, dicendo che il compito della rivoluzione vittoriosa consiste nel realizzare «il massimo del realizzabile in un solo paese per sviluppare, appoggiare, svegliare, la rivoluzione in tutti i paesi» (La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky)."

Da queste righe risulta un'altro aspetto della teoria di Stalin: la continuazione della rivoluzione mondiale è necessaria non solo dal punto di vista del principio dell'internazionalismo proletario, ma anche per garantire la vittoria definitiva del socialismo nella sola URSS.

Stalin divide quindi la questione in due aspetti: l'edificazione il socialismo in un solo paese, possibile mediante gli sforzi del proletariato del paese stesso e la garanzia del paese socialista contro l'intervento straniero, realizzabile solamente con gli sforzi concordi del proletariato internazionale e con la vittoria della rivoluzione almeno in alcuni paesi.

Stalin esprime chiaramente la sua concezione in Questioni del leninismo:

« Su questo nuovo modo di formulare il problema è basata anche la nota risoluzione della XIV Conferenza del partito >>Sui compiti dell'Internazionale comunista e del Partito comunista (bolscevico) russo>>, risoluzione che esamina il problema della vittoria del socialismo in un solo paese in rapporto con la stabilizzazione del capitalismo (aprile 1925), e giudica possibile e necessaria di condurre a termine l'edificazione del socialismo colle forze del nostro paese.
Essa ha anche servito di base al mio opuscolo <<bilancio dei lavori della XIV Conferenza del partito>>, pubblicato immediatamente dopo la Conferenza stessa, nel maggio 1925.
Circa il modo di porre la questione della vittoria del socialismo in un solo paese, in questo opuscolo si dice:

<<il nostro paese presenta due gruppi di contraddizioni. Il primo gruppo comprende le contraddizioni interne, esistenti tra il proletariato e i contadini (si tratta qui di condurre a termine l'edificazione del socialismo in un solo paese. G. St.). Il secondo gruppo comprende le contraddizioni esterne, esistenti tra il nostro paese, come paese del socialismo, e tutti gli altri paesi, come paesi del capitalismo (qui si tratta della vittoria definitiva del socialismo. G. St.)>>...<<chi confonde il primo gruppo di contraddizioni, che sono perfettamente superabili mediante gli sforzi di un solo paese, col secondo gruppo di contraddizioni, che esigono, per la loro soluzione, gli sforzi dei proletari di alcuni paesi, commette un errore grossolano contro il leninismo ed è o un confusionario o un opportunista incorreggibile>> (<<bilancio dei lavori della XIV Conferenza del partito>>).


Circa la questione della vittoria del socialismo nel nostro paese, l'opuscolo dice:

<<noi possiamo condurre a termine l'edificazione del socialismo e lo verremo edificando, insieme coi contadini, sotto la direzione della classe operaia>>...perchè <<in regime di dittatura del proletariato, abbiamo...tutti gli elementi necessari per edificare una società socialista integrale superando le difficoltà interne di ogni sorta, perchè possiamo e dobbiamo superarle con le nostre proprie forze>> (Ibidem).


Circa la questione della vittoria definitiva del socialismo, nell'opuscolo si dice:

<<vittoria definitiva del socialismo significa garanzia completa contro i tentativi d'intervento e, per conseguenza, di restaurazione, perchè ogni più o meno serio tentativo di restaurazione può aver luogo soltanto con un serio appoggio dall'estero, soltanto con l'appoggio del capitale internazionale. Perciò, l'appoggio alla nostra rivoluzione da parte degli operai di tutti i paesi e, a più forte ragione, la vittoria di questi operai, sia pur soltanto in alcuni paesi, è condizione indispensabile perchè il primo paese che ha vinto sia pienamente garantito contro i tentativi d'intervento e di restaurazione, è condizione indispensabile per la vittoria definitiva del socialismo>> (Ibidem).


E' chiaro, a quanto pare. »

Da qui risulta che, una volta ottenuta la vittoria della rivoluzione proletaria in altri paesi per consolidare il socialismo nel primo paese socialista, i nuovi paesi socialisti avranno a loro volta bisogno di ottenere la vittoria definitiva del socialismo attraverso la rivoluzione proletaria in altri paesi; la stessa cosa vale per questi ultimi e così via.

In questo modo è possibile procedere fino alla rivoluzione mondiale: ecco la sintesi del socialismo in un solo paese e dell'internazionalismo proletario. Stalin precisa il suo punto di vista in La rivoluzione d'Ottobre e la tattica dei comunisti russi:

«La vittoria del socialismo in un solo paese non è fine a se stessa. La rivoluzione vittoriosa in un paese deve considerarsi non come entità a se stante, ma come un contributo, come mezzo per affrettare la vittoria del proletariato in tutti i paesi. Poiché la vittoria della rivoluzione in un solo paese, in Russia nel nostro caso, non è soltanto il risultato dello sviluppo ineguale e della disgregazione progressiva dell'imperialismo. Essa è in pari tempo l'inizio e la premessa della rivoluzione mondiale ... Se è giusta la tesi che la vittoria definitiva del socialismo nel primo paese che si sia liberato è impossibile senza gli sforzi concordi del proletariato di più paesi, non è men vero che la rivoluzione mondiale si svilupperà tanto più rapidamente e profondamente quanto più sarà efficace l'aiuto del primo paese socialista alle masse operaie e lavoratrici di tutti gli altri paesi.»

Questa è la realtà della teoria leninista-staliniana del socialismo in un solo paese. Questo è ciò che i trotskisti chiamano eclettismo.


3. La falsificazione trotskista

I trotskisti, non essendo in condizione di criticare seriamente la teoria, hanno fatto di tutto per mistificarla e dipingerla come un tradimento dell'internazionalismo. Di seguito, unicamente a fine informativo, sono riprodotti alcuni esempi delle suddette mistificazioni:

« Dopo la morte di Lenin, avvenuta nel 1924, un'ondata reazionaria si impadronì del governo sovietico. Stalin diffuse la sua teoria del "socialismo in un paese solo", in contrapposizione a tutti i principi basilari del marxismo. Questa teoria venne opposta duramente alla teoria rivoluzionaria bolscevica della "rivoluzione permanente", secondo la quale sarebbe impossibile costruire il socialismo in uno stato isolato dal resto del mondo. » (Voce su Stalin dell'Enciclopedia "Marxista")

« [...] "Socialismo in un paese solo", teoria con la quale si è avuta una rottura netta col marxismo. » (Voce su Bucharin dell'Enciclopedia "Marxista")

« Il seguente articolo [Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa di Lenin, ndr.] è stato fortemente utilizzato dallo stalinismo, il quale vi ha trovato un appiglio per difendere la teoria (nella sua essenza anti-internazionalista e quindi antimarxista) del "socialismo in un paese solo". » (Introduzione del Marxist Internet Archive a Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa di Lenin)

« I cardini di quella polemica erano rappresentati dalla critica alla “teoria del socialismo in un paese solo” e la “teoria delle due tappe”. La prima consisteva nell’affermazione secondo la quale il socialismo poteva consolidarsi in Urss a prescindere dallo sviluppo di rivoluzioni in altri paesi; [...] » (Introduzione di FalceMartello a La rivoluzione permanente di L. Trotsky)

« Durante il dibattito della XV conferenza di partito Stalin afferma: " ...le tesi che hanno determinato tutta la linea della nostra rivoluzione e la sua opera di ricostruzione, le tesi che riguardano la possibilità della vittoria del socialismo in un paese solo" sì queste citazioni a detta di Stalin ad un singolo passaggio di Lenin. Ma Kamenev sostenne che quella citazione non si riferiva alla Russia. Stalin ripose inorridito " Questo è incredibile è inaudito e si presenta come una diretta calunnia del compagno Lenin...una falsificazione di Lenin!" Prese la parola Trotskij e citò le parole di Lenin nella loro interezza:" La vittoria completa della rivoluzione socialista in un paese solo è impensabile, essa richiede la cooperazione attiva di almeno vari paesi progrediti fra i quali non si può porre LA RUSSIA!"

Insomma un uomo più furbo che abile... » (La democrazia nel partito bolscevico di Eugenio Gemmo)

« La teoria del socialismo in un paese solo, germinata dal letame della reazione contro l'ottobre, è la sola teoria che si opponga in un modo del tutto conseguente alla teoria della Rivoluzione Permanente [...] La rinuncia a porre il problema in termini internazionali conduce inevitabilmente al messianismo nazionale, cioè al riconoscimento di prerogative e caratteristiche particolari di un determinato paese che potrebbe quindi assumere una funzione cui altri non saprebbero elevarsi. » (Che cos'è la rivoluzione permanente di L. Trotsky)

Questa è solo una piccola parte dei tanti esempi disponibili. Che cosa hanno in comune queste mistificazioni con la teoria del socialismo in un solo paese di Lenin e Stalin? Assolutamente nulla, eppure, putroppo, i trotskisti continuano a diffondere simili caricature.

Ovviamente i borghesi di tutti i paesi non possono lasciarsi sfuggire una così "buona" occasione per denigrare Stalin e il socialismo. Ecco alcuni esempi di come i borghesi impugnano saldamente le armi "teoriche" che il trotskismo mette a loro disposizione:

« Contro la tesi della "rivoluzione permanente", scese in campo, dopo la morte di Lenin, Stalin, rompendo con la tradizione dei bolscevichi per cui il socialismo si sarebbe realizzato attraverso lo sforzo comune del proletariato mondiale: [...] » (Voce di wikipedia sulla Rivoluzione permanente)

« Con la morte di Lenin (24 gennaio 1924) Stalin iniziò uno duro scontro con Trockji, il primo voleva imporre le sua idea di socialismo in un solo paese, il secondo avrebbe voluto continuare con le idee di Lenin. » (Biografia di Stalin su "La II Guerra Mondiale")

« La rivoluzione secondo Trotsky avrebbe dovuto diffondersi rapidamente nei principali Paesi capitalistici e in tutto il mondo. Questa posizione, in contrasto rispetto al "marxismo classico" difeso per esempio dai menscevichi, era condivisa da Trotsky, Lenin e dai bolscevichi fino al 1924, quando Stalin, dopo la morte di Lenin, cercando di consolidare il suo controllo sempre più burocratico sul partito bolscevico ha iniziato a presentare lo slogan del Socialismo in un solo paese. » (Voce di wikipedia sul Trotskismo)

Non è necessario criticare queste falsificazioni, perchè esse vengono smentite dalle stesse formulazioni di Stalin, già citate nel paragrafo precedente.


4. Un caso particolare di falsificazione

Fin dall'inizio dei disaccordi sul socialismo in un solo paese iniziò a circolare la voce secondo cui, nella prima edizione di Principi del leninismo, quando ancora le correnti interne al partito non erano ancora ben definite, Stalin avrebbe negato la possibilità di edificare la società socialista in un solo paese, ovvero la tesi cardine della sua successiva elaborazione.

Non è una semplice diceria; lo scrive anche Trotsky in Il socialismo in un paese solo, appendice alla sua Storia della rivoluzione russa:

« Nei due anni seguenti, però, gli Epigoni furono costretti a nascondere negli archivi i programmi dell'epoca leniniana. I loro nuovi documenti, composti da frammenti tra loro rattoppati, vennero da loro definiti come programma dell'Internazionale Comunista. Laddove con Lenin nel programma "russo" si parla di rivoluzione internazionale, con gli Epigoni nel programma internazionale si parla di socialismo "russo".

Quando e come la rottura col primo si è rivelata per la prima volta? La storica data è facile da indicare, poiché coincide con il punto di svolta nella biografia di Stalin. Nell'aprile 1924, tre mesi dopo la morte di Lenin, Stalin stava modestamente esponendo i classici punti di vista del partito. "Abbattere il potere della borghesia e stabilire il potere del proletariato in un paese", scrisse nei suoi Problemi del leninismo [si tratta di una traduzione diversa dello stesso titolo. ndr.], "non equivale a garantire la completa vittoria del socialismo". Il compito principale del socialismo - l'organizzazione della produzione socialista - è ancora lontano. Può questo compito essere realizzato? È possibile ottenere la vittoria del socialismo in un solo paese, senza lo sforzo combinato dei proletari di svariati paesi avanzati? No, non lo è. "Gli sforzi di un paese sono sufficienti solo ad abbattere la borghesia - questo è ciò che la storia c'insegna. Per la vittoria finale del socialismo, per l'organizzazione della produzione socialista, gli sforzi di un solo paese, specialmente un paese contadino come la Russia, non sono sufficienti - per questa sono necessari gli sforzi dei proletari di svariati paesi avanzati". Stalin conclude la sua esposizione di questi pensieri con le parole: "Questi, in generale sono i fattori caratteristici della teoria leninista della rivoluzione proletaria".

Nell'autunno dello stesso anno, sotto l'influenza della lotta contro il "trotskysmo", fu improvvisamente scoperto che proprio la Russia è il paese che, a differenza degli altri, potrà costruire la società socialista facendo esclusivamente affidamento sulle proprie forze, sempre che non venga ostacolata dall'intervento straniero armato. In una nuova edizione dello stesso lavoro, Stalin scrisse: "Avendo consolidato il proprio potere, e ponendosi a capo dei contadini, il proletariato del paese vittorioso può e deve costruire la società socialista". Può e deve! "La vittoria della rivoluzione [...] almeno in svariati paesi [...] è necessaria" solo per "garantire pienamente il paese contro l'intervento straniero". La proclamazione di questa nuova concezione, che assegna al proletariato mondiale il ruolo di polizia di confine, finisce con quelle stesse parole: "Questi, in generale sono i fattori caratteristici della teoria leninista della rivoluzione proletaria". Nel corso di un anno Stalin ha imputato a Lenin due punti di vista diametralmente opposti riguardo un problema fondamentale del socialismo.

Ad una sessione plenaria del Comitato Centrale del 1927, Trotsky disse, riguardo queste due opinioni contraddittorie di Stalin: "Si potrebbe dire che Stalin ha fatto un errore e che dopo si è corretto. Ma come potrebbe egli sbagliarsi su una questione di tale portata? Se fosse stato vero il fatto che Lenin ha esposto la teoria del socialismo in un solo paese già nel 1915 (cosa completamente falsa), se fosse stato vero che successivamente Lenin non fece altro che rafforzare e sviluppare tale punto di vista (cosa completamente falsa) - allora, potremmo chiederci, come ha fatto Stalin ad immaginarsi, durante la vita di Lenin, durante l'ultimo periodo della sua vita, quell'opinione così scorretta su questioni di tale importanza che trova espressione nella prima versione del suo libro del 1924? Pare che su tale fondamentale questione Stalin sia sempre stato un "trotskysta", e che solo dopo il 1924 ha cessato d'esserlo. Sarebbe buona cosa se Stalin potesse mostrarci almeno una citazione dai suoi scritti anteriori al 1924 nella quale egli dice qualcosa a proposito della costruzione del socialismo in un paese solo. Egli non troverà mai tale citazione!" Tale sfida rimase senza risposta. »

Dopo la "scoperta" di Trotsky, questa tesi si è diffusa, ecco alcuni esempi:

« Stalin era abituato a fare queste giravolte, tanto più che quando cambiava idea faceva ritirare i libri in cui aveva sostenuto il contrario di quel che diceva in quel momento (e comunque nessuno si azzardava a ricordarglielo). Così nell’aprile del 1924 nelle Questioni del leninismo [errore nel testo; si tratta di Principi del leninismo. ndr.] pubblicate a puntate sulla Pravda aveva sostenuto l’impossibilità di costruire il socialismo in un paese solo, ma già nella nuova edizione dell’autunno dello stesso anno aveva sostituito quel passo con una frase che proclamava che il proletariato “può e deve” costruire il socialismo in un paese solo. » (Perchè ci serve Rosa Luxemburg)

« Ha tutt'al più importanza per la storia delle dottrine politiche, e non per la storia dei processi politici reali, rilevare che Stalin proprio nell'opuscolo del 1924 su I principi del leninismo, primo nucleo della successiva opera intitolata Questioni del leninismo, << aveva ancora preso le mosse come Trockij dall'impossibilità di realizzare il socialismo in un paese solo >>. In verità Stalin corresse precipitosamente le sue affermazioni, e le andò precisando in seguito con sempre maggiore chiarezza, accogliendo in toto i risultati della vigorosa critica di Bucharin (Sulla teoria della rivoluzione permanente), non appena si rese conto delle conseguenze pratiche della dottrina di Trockij. » (Eclissi del principe e crisi della storia: Apogeo e tramonto della democrazia rivoluzionaria nel XX secolo di Franco Angeli)

« Il libro nasce come polemica contro la concezione, elaborata da Stalin a partire dal 1924, del “socialismo in un solo paese”. Come si dimostra ampiamente nel testo, tale concezione non solo venne “scoperta” da un giorno all’altro da Stalin, che nell’autunno del 1924 per la prima volta la prese a cardine della sua politica in Urss, ma costituiva una rottura radicale con tutta la precedente tradizione del marxismo e in particolare con l’elaborazione di Lenin prima e dopo il 1917, elaborazione che era stata alla base della rivoluzione d’Ottobre e della fondazione dell’Internazionale comunista. » (Prefazione a La rivoluzione permanente di Claudio Bellotti)

Non è necessario soffermarsi sulle deformazioni presenti nella frase di Trotsky, quali l'omissione di alcune parti "sconvenienti" delle frasi di Stalin e le palesi bugie su Lenin.

E' invece interessante prendere in considerazione un fatto, più o meno consapevolmente tralasciato nelle citazioni precedenti, che chiarisce la questione: Stalin stesso aveva spiegato la corretta interpretazione della sua frase e il motivo per cui essa è stata cambiata; infatti in Questioni del leninismo scrive:

« Nell'opuscolo <<dei principi del leninismo>> (aprile 1924, 1a edizione) vi sono due formulazioni della questione della vittoria del socialismo in un solo paese. La prima formulazione suona:

<<prima si considerava impossibile la vittoria della rivoluzione in un solo paese, perchè si riteneva che per vincere la borghesia fosse necessaria l'azione comune dei proletari di tutti i paesi avanzati o almeno della maggior parte di essi. Oggi questo punto di vista non corrisponde più alla realtà. Oggi bisogna basarsi sulla possibilità di una tale vittoria, perchè il carattere ineguale, a sbalzi, dello sviluppo dei diversi paesi capitalistici nel periodo dell'imperialismo, lo sviluppo delle catastrofiche contraddizioni interne dell'imperialismo, che generano guerre inevitabili, lo sviluppo del movimento rivoluzionario in tutti i paesi del mondo,- tutto ciò determina non solo la possibilità, ma l'inevitabilità della vittoria del proletariato in singoli paesi>> (<<dei principi del leninismo>>).

Questa tesi è assolutamente giusta e non ha bisogno di commenti. Essa è diretta contro la teoria dei socialdemocratici, i quali ritengono che la presa del potere da parte del proletariato di un solo paese, senza contemporanea rivoluzione vittoriosa in altri paesi, sia un'utopia.
Nell'opuscolo <<dei principi del leninismo>> vi è però anche una seconda formulazione. Eccola:

<<ma abbattere il potere della borghesia e instaurare il potere del proletariato in un solo paese non vuole ancora dire assicurare la vittoria completa del socialismo. Lo scopo principale del socialismo, l'organizzazione della produzione socialista, rimane ancora da raggiungere. E' possibile assolvere questo compito? E' possibile ottenere la vittoria definitiva del socialismo in un solo paese, senza gli sforzi concordi dei proletari di alcuni paesi progrediti? No, non è possibile. Per rovesciare la borghesia è sufficiente lo sforzo di un solo paese: questo è quanto ci dimostra la storia della nostra rivoluzione. Per la vittoria definitiva del socialismo, per l'organizzazione della produzione socialista, gli sforzi di un solo paese, soprattutto di un paese contadino come la Russia, non sono più sufficienti; per questo sono necessari gli sforzi dei proletari di alcuni paesi avanzati>> (<<dei principi del leninismo>>, prima edizione).


Questa seconda formulazione era diretta contro l'affermazione dei critici del leninismo, contro i trotskisti, i quali dichiaravano che la dittatura del proletariato in un solo paese, senza la vittoria in altri paesi, non può <<resistere contro un'Europa conservatrice>>.
In questo senso,- ma solo in questo senso,- questa formulazione era allora (aprile 1924) sufficiente ed essa fu anche, senza dubbio, di una certa utilità.
Ma in seguito, allorquando la critica del leninismo su questo punto fu separata nel partito e si pose all'ordine del giorno una nuova questione, la questione della possibilità dell'edificazione della società socialista integrale colle forze del nostro paese, senza aiuto esterno, questa seconda formulazione apparve manifestamente insufficiente e, per conseguenza, errata.
In che cosa consiste l'insufficienza di questa formulazione?
La sua insufficienza consiste nel fatto che essa riunisce in una sola questione due questioni differenti, quella della possibilità di condurre a termine l'edificazione del socialismo con le forze di un solo paese, cui si deve dare una risposta affermativa, e quello di sapere se un paese, in cui esiste la dittatura del proletariato, si può considerare pienamente garantito dall'intervento e, per conseguenza, dalla restaurazione del vecchio regime, senza la vittoria della rivoluzione in una serie di altri paesi, questione, questa, a cui si deve dare una risposta negativa. E non sto a dire che la suddetta formulazione può far pensare che l'organizzazione della società socialista con le forze di un solo paese è impossibile, il che, naturalmente, è errato.
Per questa ragione ho modificato, ho rettificato quella formula nel mio opuscolo <<la Rivoluzione d'ottobre e la tattica dei comunisti russi>> (dicembre 1924) scomponendo la questione in due: - questione della garanzia completa contro la restaurazione del regime borghese e questione della possibilità dell'edificazione della società socialista integrale in un solo paese. A ciò sono arrivato, in primo luogo, affermando che la <<vittoria completa del socialismo>>, considerata come <<garanzia completa contro la restaurazione contro la restaurazione del vecchio regime>>, è possibile solamente grazie <<agli sforzi concordi dei proletari di alcuni paesi>> e, in secondo luogo, proclamando, sulla base dell'opuscolo di Lenin <<della cooperazione>>, l'incontestabile verità che noi disponiamo di tutto quanto è necessario per edificare una società socialista integrale (<<la Rivoluzione d'ottobre e la tattica dei comunisti russi >>). »

La nuova formulazione di cui parla Stalin sostituì quella vecchia nell'opuscolo Principi del leninismo e chiarì definitivamente la questione.

Il discorso di Stalin può sembrare mistificatorio, ma è solo un'apparenza; analizziamo ancora la frase:

<<ma abbattere il potere della borghesia e instaurare il potere del proletariato in un solo paese non vuole ancora dire assicurare la vittoria completa del socialismo. Lo scopo principale del socialismo, l'organizzazione della produzione socialista, rimane ancora da raggiungere. E' possibile assolvere questo compito? E' possibile ottenere la vittoria definitiva del socialismo in un solo paese, senza gli sforzi concordi dei proletari di alcuni paesi progrediti? No, non è possibile. Per rovesciare la borghesia è sufficiente lo sforzo di un solo paese: questo è quanto ci dimostra la storia della nostra rivoluzione. Per la vittoria definitiva del socialismo, per l'organizzazione della produzione socialista, gli sforzi di un solo paese, soprattutto di un paese contadino come la Russia, non sono più sufficienti; per questo sono necessari gli sforzi dei proletari di alcuni paesi avanzati>> (il grassetto e i colori sono miei. K.V.)

E' chiaro che i due differenti aspetti della questione vengono sovrapposti ed è altrettanto chiaro che, così stando le cose, bisognava dare un risposta negativa.


5. Spiegazioni complementari di Stalin e confutazione di una "critica" "di sinistra"

Finora ci siamo occupati delle falsità e delle deformazioni operate da trotskisti e borghesi. Ora esamineremo una "critica" proveniente dalla "Sinistra comunista"; nelle Note a La discussione sul «socialismo in un paese solo» si legge:

"Del resto, in un punto ulteriore del suo discorso, Stalin stesso aveva ammesso a denti stretti, in modo ambiguo:
«Se la costruzione del socialismo nell'Unione Sovietica riguarda la vittoria sulla nostra borghesia «nazionale», la vittoria definitiva [corsivo ns; nda] del socialismo riguarda, a sua volta, la vittoria sulla borghesia mondiale».
Ma è verosimile che questo distinguo fosse puramente tattico."

Se è vero che l'affermazione di Stalin sulla vittoria definitiva del socialismo era solo "un distinguo puramente tattico", verrebbe da chiedersi perchè, nel 1938, quando ormai l'opposizione era sconfitta, Stalin abbia ancora impostato allo stesso modo il problema nella sua celebre Lettera a Ivanov, nella quale scrive:

« Può il socialismo vincere in un paese, che è circondato da potenti paesi capitalistici, considerarsi completamente garantito dal pericolo di un'invasione armata (intervento) e, di conseguenza dal tentativo di restaurazione del capitalismo del nostro paese? Possono la nostra classe operaia e i nostri contadini con le loro forze, senza un serio aiuto della classe operaia dei paesi capitalistici, vincere la borghesia degli altri paesi, così come hanno vinto la propria borghesia? In altre parole: si può considerare la vittoria del socialismo nel nostro paese definitiva, cioè liberata del pericolo di un’aggressione militare e di tentativi di restaurazione del capitalismo, mentre la vittoria del socialismo esiste solo in un paese, mentre continua ad esistere l'accerchiamento capitalistico.
Tali sono i problemi che si ricollegano al secondo aspetto della questione della `vittoria del socialismo nel nostro paese. Il leninismo risponde a questi problemi negativamente. Il leninismo insegna che e la vittoria definitiva del socialismo nel senso di una piena garanzia contro la restaurazione dei rapporti borghesi è possibile solo su scala internazionale (vedi la nota risoluzione della 14.a conferenza del Partito Comunista dell’U.R.S.S.). Ciò significa che il serio aiuto del proletariato internazionale è quella forza senza la quale non può essere risolto il problema della vittoria definitiva del socialismo in un solo paese. Ciò non significa, naturalmente, che noialtri dobbiamo starcene con le braccia incrociate ad aspettare un aiuto dal di fuori. Al contrario, l'aiuto del proletariato internazionale deve essere congiunto col nostro lavoro per il rafforzamento dell’Esercito Rosso e della Flotta Rossa per la mobilitazione di tutto il paese per la lotta contro l’aggressione militare ai tentativi di restaurazione dei rapporti borghesi. » (il grassetto è mio. K.V.)

Più oltre Stalin precisa:

« [...] questa questione contiene due problemi differenti.
a) il problema dei rapporti interni del nostro paese, cioè il problema della vittoria sulla nostra borghesia e dell'edificazione del socialismo integrale;
b) il problema dei rapporti esterni del nostro paese, cioè il problema della piena garanzia del nostro paese contro i pericoli di un intervento militare e di restaurazione.
Il primo problema è già stato da noi risolto, poiché la nostra borghesia è già liquidata e il socialismo è già edificato nell’essenziale. Questo, da noi, si chiama vittoria del socialismo o, più esattamente, vittoria dell'edificazione socialista in un solo paese. [...]
Il secondo problema lo si può risolvere soltanto mediante l’unione dei seri sforzi del proletariato internazionale con gli sforzi ancora più seri di tutto il nostro popolo sovietico. Bisogna rafforzare e consolidare i legami proletari internazionali della classe operaia dell’U.R.S.S. con la classe operaia dei paesi borghesi, bisogna organizzare l’aiuto politico della classe operaia dei paesi borghesi alla classe operaia del nostro paese per il caso di un’aggressione militare, contro il nostro paese, così come bisogna organizzare ogni sorta di aiuto della classe operaia del nostro paese alla classe operaia dei paesi borghesi; bisogna rafforzare e consolidare con tutti i mezzi il nostro Esercito Rosso, la nostra Flotta Rossa, la nostra Aviazione Rossa, la nostra Società d’incoraggiamento alla difesa aero-chimica. Bisogna tenere tutto il nostro popolo in uno stato di mobilitazione perché sia pronto a fare fronte al pericolo di un’aggressione militare, perché “nessun caso” e nessuna manovra dei nostri nemici esterni ci possa cogliere alla sprovvista... » (il grassetto è mio. K.V.)

Battuta in breccia la "critica" della "Sinistra comunista", resta da chiarire un'ultima questione inerente alla Lettera a Ivanov: Stalin mette in rilievo soprattutto la difesa dell'URSS e si occupa poco dell'internazionalismo; ciò potrebbe far pensare, nelle menti dei "sinistri", ad un presunto "ulteriore allontanamento dalla rivoluzione internazionale".

Questi cervellotismi non hanno ragion d'essere, per almeno due ragioni:

a) L'oggetto della riflessione di Stalin è specificamente la definizione della vittoria definitiva o meno del socialismo nell'URSS; infatti Ivanov chiede:

« Vi prego, compagno Stalin, di spiegarmi se abbiamo la vittoria definitiva del socialismo o se non l'abbiamo ancora. »

b) Nella prima citazione, Stalin rimanda alla risoluzione della 14.a conferenza del Partito Comunista dell’U.R.S.S., di cui si parla diffusamente nelle Questioni del leninismo (cfr. il paragrafo 2 di questo opuscolo).

Per concludere questa esposizione e fugare ogni dubbio, sono adatte, più di ogni mia spiegazione, le parole di Stalin in Il marxismo e la linguistica:

« Il marxismo è la scienza delle leggi di sviluppo della natura e della società, la scienza della rivoluzione delle masse oppresse e sfruttate, la scienza della vittoria del socialismo in tutti i Paesi, la scienza dell'edificazione della società comunista. »


6. Conseguenze del socialismo in un solo paese sullo Stato

Un aspetto particolare della teoria del socialismo in un solo paese è la sua influenza sulla teoria marxista dello Stato. Secondo le tesi dei classici, infatti, lo Stato dovrebbe iniziare ad estinguersi subito dopo la socializzazione dei mezzi di produzione. Ma come fare con l'accerchiamento capitalistico? Stalin dà la sua risposta nel Rapporto al XVIII Congresso del PC(b):

"Prendiamo, per esempio, la classica formula della teoria dello sviluppo dello Stato socialista, data da Engels :
«Quando non vi saranno più classi sociali che debbano essere tenute sottomesse, quando non vi sarà più il dominio di una casse su di un'altra, né la lotta per l'esistenza, che ha la sua origine nell'anarchia attuale della produzione, quando saranno eliminati i conflitti e le violenze che ne derivano, allora non vi sarà più nessuno da reprimere e da frenare, allora sparirà la necessità del potere statale che adempie oggi a questa funzione. Il primo atto col quale lo Stato agirà veramente come rappresentante di tutta la società, — la trasformazione dei mezzi di produzione in proprietà sociale, — sarà il suo ultimo, atto indipendente come Stato. L'intervento del potere statale nei rapporti sociali a poco a poco diventerà superfluo e cesserà di per se stesso. Invece del governo sulle persone, si avrà l'amministrazione sulle cose e la direzione dei processi di produzione. Lo Stato non si a abolisce ; lo Stato si estingue». (F. Engels, Anti-Duhring, pag. 202 ed. russa 1933).
E giusta questa tesi di Engels ?
Sì, è giusta, ma ad una di queste due condizioni : a) se si studia lo Stato socialista dal punto di vista del solo sviluppo interno del paese, astraendo anticipatamente dal fattore internazionale, considerando il paese e lo Stato, per comodità d'indagine, al di fuori della situazione internazionale ; oppure b) se si suppone, che il socialismo abbia già vinto in tutti i paesi o nella maggioranza dei paesi, che invece dell'accerchiamento capitalistico esista l'accerchiamento socialista, non vi sia più la minaccia di un'aggressione dall'esterno, non vi sia più bisogno di rafforzare l'esercito e lo Stato.
Ma se il socialismo ha vinto soltanto in un paese preso a parte e non è quindi affatto possibile fare astrazione dalla situazione internazionale, come fare in questo caso ? A questa domanda la formula di Engels non dà risposta. Engels, del resto, non si pone questa domanda ; per conseguenza, non può neanche darle una risposta. Engels parte dal presupposto che il socialismo abbia già vinto, più o meno contemporaneamente, in tutti i paesi o nella maggioranza dei paesi. Per conseguenza, Engels esamina qui non questo o quel concreto Stato socialista di questo o quel singolo paese, ma lo sviluppo dello Stato socialista in generale, ammettendo il fatto della vittoria del socialismo nella maggioranza dei paesi, secondo la formula: «Ammettiamo che il socialismo abbia vinto. nella maggioranza dei paesi; si domanda: quali cambiamenti deve subire in questo caso lo Stato proletario, socialista?...». Soltanto questo carattere generale e astratto del problema può spiegare perché, esaminando la questione dello Stato socialista, Engels astragga completamente da un fattore come le condizioni internazionali, la situazione internazionale.
Ma da ciò deriva che non si può estendere la formula generale di Engels sulla sorte dello Stato socialista in generale, al caso particolare e concreto della vittoria del socialismo in un solo paese, preso a parte, che è circondato da paesi capitalistici, che è esposto alla minaccia di un'aggressione armata dall'esterno ; paese che non può, per conseguenza, fare astrazione dalla situazione internazionale e deve avere a sua disposizione anche un esercito bene istruito, degli organi punitivi bene organizzati e un forte servizio di sorveglianza; paese che, per conseguenza, deve avere un proprio Stato sufficientemente forte per poter difendere le conquiste del socialismo dall'aggressione esterna. Non si può esigere dai classici del marxismo, che sono separati dal nostro tempo da un periodo di 45-55 anni, che essi prevedessero per un avvenire lontano tutti i casi possibili di zig-zag della storia in ogni paese, singolarmente preso. Sarebbe ridicolo esigere che i classici del marxismo avessero elaborato per noi delle soluzioni pronte per tutte le questioni teoriche immaginabili che sarebbero potute sorgere in ogni paese singolarmente preso, in 50-100 anni; affinché noi, posteri dei classici dei marxismo, avessimo la possibilità di rimanere tranquillamente coricati e rimasticare soluzioni bell'e pronte. Ma noi possiamo e dobbiamo esigere dai marxisti-leninisti del nostro tempo che essi non si limitino ad apprendere le singole tesi generali del marxismo, che essi penetrino la sostanza del marxismo, che essi apprendano a tener conto dell'esperienza di un ventennio di esistenza dello Stato socialista nel nostro paese, che essi apprendano, infine, appoggiandosi a questa esperienza e partendo dalla sostanza del marxismo, a concretizzare singole tesi generali del marxismo, a precisarle e a perfezionarle."

Quindi lo Stato, nelle condizioni del socialismo in un solo paese è necessario per difendere la società socialista dall'accerchiamento capitalistico; perciò deve essere rafforzato fino al termine di questo accerchiamento.

Stalin precisa la sua concezione in Il marxismo e la linguistica:

« Engels nel suo Antidühring ha detto che, dopo la vittoria della rivoluzione socialista, lo Stato deve scomparire. Su questa base, dopo la vittoria socialista nel nostro Paese, i dogmatici e i talmudisti del nostro partito cominciarono a chiedere che il partito prendesse delle misure per la più sollecita scomparsa del nostro Stato, per la dissoluzione degli organi dello Stato, per rinunziare all'esercito regolare.

Tuttavia, i marxisti sovietici, sulla base dello studio della situazione mondiale nei nostri tempi, sono giunti alla conclusione che, fino a che dura l'accerchiamento capitalistico, quando la vittoria della rivoluzione socialista ha avuto luogo in un solo Paese, mentre in tutti gli altri Paesi domina il capitalismo, il Paese della rivoluzione vittoriosa non deve indebolire, ma invece rafforzare in ogni modo il suo Stato, gli organi dello Stato, gli organi della vigilanza, l'esercito, a meno che questo paese non voglia essere travolto dall'accerchiamento capitalistico. I marxisti russi sono giunti alla conclusione che la formula di Engels considerava la vittoria del socialismo in tutti i Paesi, o nella maggior parte di essi, che essa è inapplicabile nel caso in cui il socialismo si affermi in un solo Paese, preso singolarmente, mentre in tutti gli altri Paesi domina il capitalismo.
Come si vece, abbiamo qui due diverse formule circa la questione della sorge di uno Stato socialista, che si escludono l'una con l'altra.
I dogmatici e i talmudisti possono dire che questa circostanza crea una situazione intollerabile, che una di queste formule deve essere respinta come assolutamente erronea, mentre l'altra, in quanto assolutamente giusta, deve essere applicata a tutti i periodi di sviluppo dello Stato socialista. I marxisti, tuttavia, non possono non sapere che i dogmatici e i talmudisti si sbagliano, perché entrambe queste formule sono giuste, ma non in senso assoluto, bensì ciascuna per la sua epoca; la formula dei marxisti sovietici, per il periodo della vittoria del socialismo in uno o più Paesi, e la formula di Engels, per il periodo in cui la successiva vittoria del socialismo in singoli Paesi condurrà alla vittoria del socialismo nella maggioranza dei Paesi, e quando verranno così a crearsi le condizioni necessarie per l'applicazione della formula di Engels. »

Sono così battute in breccia le possibile "obiezioni" di stampo dogmatico. Non sono necessarie ulteriori precisazioni, se non un breve accenno ad altre possibili "obiezioni" dogmatiche alla teoria del socialismo in un solo paese; Stalin scrive nella sua Lettera al compagno Iermakovski:

"La risposta negativa di Engels alla domanda : « Questa rivoluzione potrà verificarsi soltanto in un singolo paese? », rispecchia interamente l'epoca del capitalismo premonopolistico, l'epoca preimperialista, in cui non esistevano ancora le condizioni per lo sviluppo ineguale, a salti, dei paesi capitalistici, e in cui, quindi, non esistevano le premesse concrete della vittoria della rivoluzione proletaria in un solo paese (la possibilità della vittoria di questa rivoluzione in un solo paese scaturisce, com'è noto, dalla legge dello sviluppo ineguale dei paesi capitalistici nel periodo imperialistico). La legge dello sviluppo ineguale dei paesi capitalistici e la relativa tesi della possibilità della vittoria della rivoluzione proletaria in un solo paese furono enunciate e potevano essere enunciate da Lenin solo nel periodo dell'imperialismo. Così si spiega, fra l'altro, che il leninismo è il marxismo dell'epoca dell'imperialismo, che esso rappresenta l'ulteriore sviluppo dei marxismo, il quale si è formato nell'epoca preimperialistica. Engels, con tutto il suo genio, non poteva vedere quello che ancora non esisteva nel periodo del capitalismo premonopolistico, negli anni successivi al 1840, quando scriveva i suoi Princìpi del comunismo, e che sorse solo in seguito, nel periodo del capitalismo monopolistico. D'altra parte, Lenin, marxista geniale, non poteva non vedere quello che già era sorto dopo la morte di Engels, nel periodo dell'imperialismo. La differenza fra Lenin ed Engels è la differenza che esiste fra i due periodi storici che li separano.
Non si può neppure dire che « la teoria di Trotski si identifica con la dottrina di Engels ». Engels aveva ragione di dare una risposta negativa alla diciannovesima domanda (vedi i suoi Princìpi del comunismo) nel periodo del capitalismo premonopolistico, nel decennio 1840-1850, in cui non si poteva neppure parlare della legge dello sviluppo ineguale dei paesi capitalisti. Trotski, al contrario, non ha nessun motivo di ripetere nel XX secolo la vecchia risposta di Engels, presa da un'epoca già superata, e applicarla meccanicamente alla nuova epoca imperialistica, in cui la legge dello sviluppo ineguale è diventata un fatto generalmente noto. Engels basa la sua risposta sull'analisi del capitalismo premonopolistico a lui contemporaneo. Trotski invece non analizza, ma fa astrazione dall'epoca contemporanea, dimentica che egli non vive nel decennio 1840-1850, ma nel XX secolo, nell'epoca dell'imperialismo, e ingegnosamente appiccica il naso di un Ivan Ivanovic del decennio 1840-1850 sopra il mento di un Ivan Nikiforovic [Protagonisti del racconto di Gogol, Come litigarono Ivan Ivanovic e Ivan Nikiforovic. ndr.] dei primi del XX secolo, pensando evidentemene di poterla fare così in barba alla storia. Non penso che questi due metodi diametralmente opposti permettano di parlare dell'« identità della teoria di Trotski con la dottrina di Engels »."

Così sono confutati anche i possibili "argomenti" che fanno astrazione dalle mutate condizioni del capitalismo.

7. Fallimento?

Non possiamo ignorare le affermazioni, tenutesi in certi luoghi, secondo cui il socialismo in un solo paese sarebbe una teoria fallimentare. Ecco un esempio di tali tesi:

« Lo stalinismo ebbe la pretesa, rivelatasi fallimentare, di instaurare il "socialismo in un solo paese" senza il sostegno, giudicato invece indispensabile da Lenin, del proletariato internazionale. » (Lenin e Stalin)

« La teoria del socialismo in un paese solo- non solo è stata sconfitta dalla storia- è la sola che si opponga in modo del tutto conseguente alla teoria della rivoluzione permanente, dunque al socialismo internazionale e al marxismo rivoluzionario. » (L'attualità della rivoluzione permanente di Eugenio Gemmo)

Tralasciando le deformazioni teoriche di stampo trotskista, che sono già state confutate (cfr. il paragrafo 3 di questo opuscolo), qui viene smascherato l'astrattismo dei trotskisti.

Stalin, essendo marxista e dovendo tenere conto dei fatti concreti, nella Lettera a Ivanov scrive:

« Lenin insegna che “noi abbiamo tutto ciò che è necessario per l’edificazione di una compiuta società socialista”. Noi possiamo e dobbiamo dunque, con le nostre proprie forze, vincere la nostra borghesia e costruire la società socialista. Trotzki, Zinoviev, Kamenev e simili messeri, divenuti in seguito spie e agenti del fascismo, negavano la possibilità di edificare il socialismo nel nostro paese senza che prima la rivoluzione socialista avesse vinto negli altri paesi, nei paesi capitalistici. Questi messeri, in sostanza, volevano riportare il nostro paese indietro sulla via dello sviluppo borghese, coprendo la loro apostasia con falsi argomenti sulla “vittoria della rivoluzione” negli altri paesi. E' proprio su questo punto che si è svolta la discussione nel nostro partito con questi signori. L’ulteriore andamento dello sviluppo del nostro paese ha mostrato che il Partito aveva ragione, e che Trotzki e compagnia
avevano torto.
Infatti, nel frattempo siamo riusciti a liquidare la nostra borghesia, a stabilire una fraterna collaborazione con i contadini ed a costruire, nell'essenziale, la società socialista, sebbene la rivoluzione socialista non abbia vinto negli altri paesi. »

Per ogni marxista-leninista che si rispetti, il socialismo in un solo paese è una realtà, un fenomeno concretamente possibile.

Con lo stesso punto di vista possiamo rispondere ad un'altra questione scottante: è possibile oggi, quando si parla addiritura di "scomparsa dell'autorità dei singoli Stati", edificare il socialismo in un solo paese?

Meglio di qualunque spiegazione teorica, è la pratica stessa a rispondere: oggi il socialismo in un singoli paesi esiste, in Corea del Nord e a Cuba ad esempio; la legge dell'ineguale sviluppo continua ad essere in vigore; l'imperialismo esiste ancora, così come esistono pochi paesi "civili" che opprimono e sfruttano la maggioranza del cosidetto "Sud del mondo".

Come ci insegna Lenin in Stato e rivoluzione:

« La verità è sempre concreta. »

Concludendo questa esposizione, vale la pena di citare le parole di Stalin, tratte dall'articolo Sul progetto di Costituzione dell’U.R.S.S., per rispondere a chi vuole, come i poltici tedeschi di cui parla Stalin, negare l'evidenza:

« Questi sono i fatti. E i fatti, come si dice, sono testardi. I signori dell’organo ufficioso tedesco possono dire: tanto peggio per i fatti. Ma allora si può loro rispondere con le parole del noto proverbio russo: “Per gli imbecilli, non v’è legge che valga”. »


Klim Voroshilov

Edited by Klim Voroshilov - 18/9/2011, 14:40
view post Posted: 10/9/2011, 22:25 Teoria del socialismo in un solo paese - La voce del popolo

Teoria del socialismo in un solo paese



« [...] la società socialista si può affermare anche in un solo paese, anche nelle condizioni del più accanito accerchiamento imperialista, come quello che ha dovuto affrontare l'Unione Sovietica. »

Ernesto Che Guevara in La costruzione del partito



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Tra tutte le teorie del marxismo, quella del socialismo in un solo paese è la più falsificata e strumentalizzata dalla borghesia e dai suoi agenti inflitrati nel movimento comunista. Fare luce sul reale contenuto di questa teoria, demolire le mistificazioni borghesi e riabilitare il vero significato di questa teoria: tale è il compito che questo scritto si pone.

1. Il socialismo in un solo paese nell'elaborazione di Lenin

Vladimir Ilich Lenin, padre del bolscevismo, viene oggi dipinto, nelle ricostruzioni "di sinistra", come un "coerente internazionalista", come un sostenitore della "esportazione della rivoluzione", come un trotskista. In realtà fu proprio Lenin il primo marxista a riconoscere la possibilità di edificare il socialismo in un solo paese; infatti nel suo articolo Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa, nel 1915, scrive:

« L'ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo. Ne risulta che è possibile il trionfo del socialismo all'inizio in alcuni paesi o anche in un solo paese capitalistico, preso separatamente. »

Non è necessaria maggior chiarezza per esprimere questo concetto. Lenin prosegue:

« Il proletariato vittorioso di questo paese, espropriati i capitalisti e organizzata nel proprio paese la produzione socialista, si solleverebbe contro il resto del mondo capitalista, attirando a sé le classi oppresse degli altri paesi, spingendole ad insorgere contro i capitalisti, intervenendo, in caso di necessità, anche con la forza armata contro le classi sfruttatrici ed i loro Stati. »

In tal modo è indicato altrettanto chiaramente il compito del paese socialista nel campo internazionale. Di seguito sarà mostrato come lo stesso punto di vista, espresso però da Stalin, fu duramente contestato dal trotskismo.

Dopo l'articolo succitato, Lenin non si occupò più della questione della vittoria di un socialismo in un solo paese per diverso tempo e in molti suoi scritti, nel periodo immediatamente successivo all'Ottobre, pose l'enfasi sull'espansione della rivoluzione proletaria nell'Europa occidentale. Infatti nelle Tesi di aprile scrive:

"[...] II nostro compito immediato non è l'«instaurazione» del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei soviet dei deputati operai."

Questa tendenza era comune a tutti i teorici bolscevichi in quel periodo, Stalin incluso. Tutto è perfettamente comprensibile, se è vero che edificare il socialismo è più facile nei paesi avanzati che in quelli arretrati.

Lenin però parla del compito immediato dei comunisti russi, quello che per ora (cioè subito dopo la presa di potere) è l'obbiettivo principale. Infatti in seguito modificò il suo punto di vista, aggiornandolo in base alla nuova situazione creatasi dopo la sconfitta delle insurrezioni nell'Europa occidentale.

Nei suoi ultimi scritti, Lenin affronta nuovamente il problema della vittoria del socialismo in un solo paese; in Sulla cooperazione scrive:

« In realtà, il potere dello Stato su tutti i grandi mezzi di produzione, il potere dello Stato nelle mani del proletariato, l'alleanza di questo proletariato con milioni e milioni di contadini poveri e poverissimi, la garanzia della direzione dei contadini da parte del proletariato, ecc., non è forse questo tutto ciò che occorre per potere, con la cooperazione, con la sola cooperazione, che noi una volta consideravamo dall'alto in basso come affare da bottegai e che ora, durante la Nep, abbiamo ancora il diritto, in un certo senso, di considerare allo stesso modo, non è forse questo tutto ciò che è necessario per condurre a termine la costruzione di una società socialista integrale? Questo non è ancora la costruzione della società socialista, ma è tutto ciò che è necessario e sufficiente per condurre a termine la costruzione. »

E ancora:

« I nostri avversari ci hanno detto più volte che noi intraprendiamo un'opera insensata, nel voler impiantare il socialismo in un paese che non è abbastanza colto. Ma si sono ingannati; noi abbiamo cominciato non da dove si doveva cominciare secondo la teoria (di ogni genere di pedanti), e da noi il rivolgimento politico e sociale ha preceduto il rivolgimento culturale, la rivoluzione culturale di fronte alla quale pur tuttavia oggi ci troviamo. »

In Sulla nostra Rivoluzione Lenin scrive:

"[...] è infinitamente banale il loro argomento [dei socialdemocratici. ndr.], studiato a memoria durante lo sviluppo della socialdemocrazia dell'Europa occidentale, secondo il quale noi non saremmo ancora maturi per il socialismo, e secondo il quale da noi non esisterebbero, come dicono diversi signori «scienziati» che militano nelle loro file, le premesse economiche obiettive per il socialismo. E non viene in mente a nessuno di domandarsi: ma un popolo che era davanti a una situazione rivoluzionaria; quale si era creata nella prima guerra imperialista, sotto la spinta di una situazione senza vie di uscita, non poteva forse gettarsi in una lotta che gli apriva almeno qualche speranza di conquistarsi condizioni non del tutto ordinarie per un ulteriore progresso della civiltà?

«La Russia non ha raggiunto il livello di sviluppo delle forme produttive sulla base del quale è possibile il socialismo». Tutti gli eroi della II Internazionale, compreso naturalmente Sukhanov, presentano questa tesi come oro colato. Questa tesi indiscutibile, la rimasticano continuamente e la considerano come decisiva per l'apprezzamento della nostra rivoluzione.

Ma che cosa fare se l'originalità della situazione ha innanzi tutto spinto la Russia nella guerra imperialista mondiale, nella quale erano coinvolti tutti i paesi dell'Europa occidentale che avevano una qualche influenza, e poi creato per il suo sviluppo - sulla soglia della rivoluzione che sta iniziando e in parte è già iniziata in Oriente - condizioni in cui noi potevamo attuare precisamente quella unione della «guerra dei contadini» con il movimento operaio, di cui parlava, come di una prospettiva possibile, un «marxista» come Marx, nel 1856, a proposito della Prussia?"

E ancora:

« Per creare il socialismo, voi dite, occorre la civiltà. Benissimo. Perché dunque da noi non avremmo potuto creare innanzi tutto quelle premesse della civiltà che sono la cacciata dei grandi proprietari fondiari e la cacciata dei capitalisti russi per poi cominciare la marcia verso il socialismo? In quali libri avete letto che simili modificazioni del corso normale della storia sono inammissibili o impossibili? »

Queste tesi di Lenin furono poi alla base dell'elaborazione della teoria del socialismo in un solo paese da parte di Stalin.


2. Stalin e la teorizzazione definitiva del socialismo in un solo paese

Dopo la morte di Lenin fu Stalin a sviluppare le sue riflessioni sulla teoria del socialismo in un solo paese. Caposaldo della teoria staliniana è il definitivo riconoscimento della possibilità di edificare la società socialista anche in un solo paese, chiaramente formulata in Principi del leninismo:

« Prima si considerava impossibile la vittoria della rivoluzione in un solo paese, perché si riteneva che per vincere la borghesia fosse necessaria l’azione comune del proletariato di tutti i paesi avanzati o almeno della maggior parte di essi. Oggi questo punto di vista non corrisponde più alla realtà. Oggi bisogna ammettere la possibilità di una tale vittoria, perché il carattere ineguale, a sbalzi, dellosviluppo dei diversi paesi capitalistici nel periodo dell’imperialismo, lo sviluppo delle catastrofiche contraddizioni interne dell’imperialismo, che generano delle guerre inevitabili, lo sviluppo del movimento rivoluzionario in tutti i paesi del mondo, tutto ciò determina non solo la possibilità, ma l’inevitabilità della vittoria del proletariato in singoli paesi. »

Tuttavia Stalin mette in rilievo anche la neccessità di continuare la lotta di classe su scala internazionale e di appoggiare la vittoria della rivoluzione proletaria in altri paesi:

"Consolidato il proprio potere e tratti dietro a sé i contadini, il proletariato del paese vittorioso può e deve edificare la società socialista. Ma significa forse che con ciò esso arriverà alla vittoria completa, definitiva del socialismo, cioè che esso può, con le forze di un solo paese, consolidare definitivamente il socialismo e garantire completamente il paese dall’intervento straniero e, quindi, dalla restaurazione? No, non significa questo. Per questo è necessaria la vittoria della rivoluzione almeno in alcuni paesi. Perciò lo sviluppo e l’appoggio della rivoluzione negli altri paesi è un compito essenziale della rivoluzione vittoriosa. Perciò la rivoluzionedel paese vittorioso deve considerarsi non come una entità sufficiente a sé stessa, ma come un ausilio, come un mezzo atto ad accelerare la vittoria del proletariato negli altri paesi.
Lenin espresse questo pensiero in due parole, dicendo che il compito della rivoluzione vittoriosa consiste nel realizzare «il massimo del realizzabile in un solo paese per sviluppare, appoggiare, svegliare, la rivoluzione in tutti i paesi» (La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky)."

Da queste righe risulta un'altro aspetto della teoria di Stalin: la continuazione della rivoluzione mondiale è necessaria non solo dal punto di vista del principio dell'internazionalismo proletario, ma anche per garantire la vittoria definitiva del socialismo nella sola URSS.

Stalin divide quindi la questione in due aspetti: l'edificazione il socialismo in un solo paese, possibile mediante gli sforzi del proletariato del paese stesso e la garanzia del paese socialista contro l'intervento straniero, realizzabile solamente con gli sforzi concordi del proletariato internazionale e con la vittoria della rivoluzione almeno in alcuni paesi.

Stalin esprime chiaramente la sua concezione in Questioni del leninismo:

« Su questo nuovo modo di formulare il problema è basata anche la nota risoluzione della XIV Conferenza del partito >>Sui compiti dell'Internazionale comunista e del Partito comunista (bolscevico) russo>>, risoluzione che esamina il problema della vittoria del socialismo in un solo paese in rapporto con la stabilizzazione del capitalismo (aprile 1925), e giudica possibile e necessaria di condurre a termine l'edificazione del socialismo colle forze del nostro paese.
Essa ha anche servito di base al mio opuscolo <<bilancio dei lavori della XIV Conferenza del partito>>, pubblicato immediatamente dopo la Conferenza stessa, nel maggio 1925.
Circa il modo di porre la questione della vittoria del socialismo in un solo paese, in questo opuscolo si dice:

<<il nostro paese presenta due gruppi di contraddizioni. Il primo gruppo comprende le contraddizioni interne, esistenti tra il proletariato e i contadini (si tratta qui di condurre a termine l'edificazione del socialismo in un solo paese. G. St.). Il secondo gruppo comprende le contraddizioni esterne, esistenti tra il nostro paese, come paese del socialismo, e tutti gli altri paesi, come paesi del capitalismo (qui si tratta della vittoria definitiva del socialismo. G. St.)>>...<<chi confonde il primo gruppo di contraddizioni, che sono perfettamente superabili mediante gli sforzi di un solo paese, col secondo gruppo di contraddizioni, che esigono, per la loro soluzione, gli sforzi dei proletari di alcuni paesi, commette un errore grossolano contro il leninismo ed è o un confusionario o un opportunista incorreggibile>> (<<bilancio dei lavori della XIV Conferenza del partito>>).


Circa la questione della vittoria del socialismo nel nostro paese, l'opuscolo dice:

<<noi possiamo condurre a termine l'edificazione del socialismo e lo verremo edificando, insieme coi contadini, sotto la direzione della classe operaia>>...perchè <<in regime di dittatura del proletariato, abbiamo...tutti gli elementi necessari per edificare una società socialista integrale superando le difficoltà interne di ogni sorta, perchè possiamo e dobbiamo superarle con le nostre proprie forze>> (Ibidem).


Circa la questione della vittoria definitiva del socialismo, nell'opuscolo si dice:

<<vittoria definitiva del socialismo significa garanzia completa contro i tentativi d'intervento e, per conseguenza, di restaurazione, perchè ogni più o meno serio tentativo di restaurazione può aver luogo soltanto con un serio appoggio dall'estero, soltanto con l'appoggio del capitale internazionale. Perciò, l'appoggio alla nostra rivoluzione da parte degli operai di tutti i paesi e, a più forte ragione, la vittoria di questi operai, sia pur soltanto in alcuni paesi, è condizione indispensabile perchè il primo paese che ha vinto sia pienamente garantito contro i tentativi d'intervento e di restaurazione, è condizione indispensabile per la vittoria definitiva del socialismo>> (Ibidem).


E' chiaro, a quanto pare. »

Da qui risulta che, una volta ottenuta la vittoria della rivoluzione proletaria in altri paesi per consolidare il socialismo nel primo paese socialista, i nuovi paesi socialisti avranno a loro volta bisogno di ottenere la vittoria definitiva del socialismo attraverso la rivoluzione proletaria in altri paesi; la stessa cosa vale per questi ultimi e così via.

In questo modo è possibile procedere fino alla rivoluzione mondiale: ecco la sintesi del socialismo in un solo paese e dell'internazionalismo proletario. Stalin precisa il suo punto di vista in La rivoluzione d'Ottobre e la tattica dei comunisti russi:

«La vittoria del socialismo in un solo paese non è fine a se stessa. La rivoluzione vittoriosa in un paese deve considerarsi non come entità a se stante, ma come un contributo, come mezzo per affrettare la vittoria del proletariato in tutti i paesi. Poiché la vittoria della rivoluzione in un solo paese, in Russia nel nostro caso, non è soltanto il risultato dello sviluppo ineguale e della disgregazione progressiva dell'imperialismo. Essa è in pari tempo l'inizio e la premessa della rivoluzione mondiale ... Se è giusta la tesi che la vittoria definitiva del socialismo nel primo paese che si sia liberato è impossibile senza gli sforzi concordi del proletariato di più paesi, non è men vero che la rivoluzione mondiale si svilupperà tanto più rapidamente e profondamente quanto più sarà efficace l'aiuto del primo paese socialista alle masse operaie e lavoratrici di tutti gli altri paesi.»

Questa è la realtà della teoria leninista-staliniana del socialismo in un solo paese. Questo è ciò che i trotskisti chiamano eclettismo.


3. La falsificazione trotskista

I trotskisti, non essendo in condizione di criticare seriamente la teoria, hanno fatto di tutto per mistificarla e dipingerla come un tradimento dell'internazionalismo. Di seguito, unicamente a fine informativo, sono riprodotti alcuni esempi delle suddette mistificazioni:

« Dopo la morte di Lenin, avvenuta nel 1924, un'ondata reazionaria si impadronì del governo sovietico. Stalin diffuse la sua teoria del "socialismo in un paese solo", in contrapposizione a tutti i principi basilari del marxismo. Questa teoria venne opposta duramente alla teoria rivoluzionaria bolscevica della "rivoluzione permanente", secondo la quale sarebbe impossibile costruire il socialismo in uno stato isolato dal resto del mondo. » (Voce su Stalin dell'Enciclopedia "Marxista")

« [...] "Socialismo in un paese solo", teoria con la quale si è avuta una rottura netta col marxismo. » (Voce su Bucharin dell'Enciclopedia "Marxista")

« Il seguente articolo [Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa di Lenin, ndr.] è stato fortemente utilizzato dallo stalinismo, il quale vi ha trovato un appiglio per difendere la teoria (nella sua essenza anti-internazionalista e quindi antimarxista) del "socialismo in un paese solo". » (Introduzione del Marxist Internet Archive a Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa di Lenin)

« I cardini di quella polemica erano rappresentati dalla critica alla “teoria del socialismo in un paese solo” e la “teoria delle due tappe”. La prima consisteva nell’affermazione secondo la quale il socialismo poteva consolidarsi in Urss a prescindere dallo sviluppo di rivoluzioni in altri paesi; [...] » (Introduzione di FalceMartello a La rivoluzione permanente di L. Trotsky)

« Durante il dibattito della XV conferenza di partito Stalin afferma: " ...le tesi che hanno determinato tutta la linea della nostra rivoluzione e la sua opera di ricostruzione, le tesi che riguardano la possibilità della vittoria del socialismo in un paese solo" sì queste citazioni a detta di Stalin ad un singolo passaggio di Lenin. Ma Kamenev sostenne che quella citazione non si riferiva alla Russia. Stalin ripose inorridito " Questo è incredibile è inaudito e si presenta come una diretta calunnia del compagno Lenin...una falsificazione di Lenin!" Prese la parola Trotskij e citò le parole di Lenin nella loro interezza:" La vittoria completa della rivoluzione socialista in un paese solo è impensabile, essa richiede la cooperazione attiva di almeno vari paesi progrediti fra i quali non si può porre LA RUSSIA!"

Insomma un uomo più furbo che abile... » (La democrazia nel partito bolscevico di Eugenio Gemmo)

« La teoria del socialismo in un paese solo, germinata dal letame della reazione contro l'ottobre, è la sola teoria che si opponga in un modo del tutto conseguente alla teoria della Rivoluzione Permanente [...] La rinuncia a porre il problema in termini internazionali conduce inevitabilmente al messianismo nazionale, cioè al riconoscimento di prerogative e caratteristiche particolari di un determinato paese che potrebbe quindi assumere una funzione cui altri non saprebbero elevarsi. » (Che cos'è la rivoluzione permanente di L. Trotsky)

Questa è solo una piccola parte dei tanti esempi disponibili. Che cosa hanno in comune queste mistificazioni con la teoria del socialismo in un solo paese di Lenin e Stalin? Assolutamente nulla, eppure, putroppo, i trotskisti continuano a diffondere simili caricature.

Ovviamente i borghesi di tutti i paesi non possono lasciarsi sfuggire una così "buona" occasione per denigrare Stalin e il socialismo. Ecco alcuni esempi di come i borghesi impugnano saldamente le armi "teoriche" che il trotskismo mette a loro disposizione:

« Contro la tesi della "rivoluzione permanente", scese in campo, dopo la morte di Lenin, Stalin, rompendo con la tradizione dei bolscevichi per cui il socialismo si sarebbe realizzato attraverso lo sforzo comune del proletariato mondiale: [...] » (Voce di wikipedia sulla Rivoluzione permanente)

« Con la morte di Lenin (24 gennaio 1924) Stalin iniziò uno duro scontro con Trockji, il primo voleva imporre le sua idea di socialismo in un solo paese, il secondo avrebbe voluto continuare con le idee di Lenin. » (Biografia di Stalin su "La II Guerra Mondiale")

« La rivoluzione secondo Trotsky avrebbe dovuto diffondersi rapidamente nei principali Paesi capitalistici e in tutto il mondo. Questa posizione, in contrasto rispetto al "marxismo classico" difeso per esempio dai menscevichi, era condivisa da Trotsky, Lenin e dai bolscevichi fino al 1924, quando Stalin, dopo la morte di Lenin, cercando di consolidare il suo controllo sempre più burocratico sul partito bolscevico ha iniziato a presentare lo slogan del Socialismo in un solo paese. » (Voce di wikipedia sul Trotskismo)

Non è necessario criticare queste falsificazioni, perchè esse vengono smentite dalle stesse formulazioni di Stalin, già citate nel paragrafo precedente.


4. Un caso particolare di falsificazione

Fin dall'inizio dei disaccordi sul socialismo in un solo paese iniziò a circolare la voce secondo cui, nella prima edizione di Principi del leninismo, quando ancora le correnti interne al partito non erano ancora ben definite, Stalin avrebbe negato la possibilità di edificare la società socialista in un solo paese, ovvero la tesi cardine della sua successiva elaborazione.

Non è una semplice diceria; lo scrive anche Trotsky in Il socialismo in un paese solo, appendice alla sua Storia della rivoluzione russa:

« Nei due anni seguenti, però, gli Epigoni furono costretti a nascondere negli archivi i programmi dell'epoca leniniana. I loro nuovi documenti, composti da frammenti tra loro rattoppati, vennero da loro definiti come programma dell'Internazionale Comunista. Laddove con Lenin nel programma "russo" si parla di rivoluzione internazionale, con gli Epigoni nel programma internazionale si parla di socialismo "russo".

Quando e come la rottura col primo si è rivelata per la prima volta? La storica data è facile da indicare, poiché coincide con il punto di svolta nella biografia di Stalin. Nell'aprile 1924, tre mesi dopo la morte di Lenin, Stalin stava modestamente esponendo i classici punti di vista del partito. "Abbattere il potere della borghesia e stabilire il potere del proletariato in un paese", scrisse nei suoi Problemi del leninismo [si tratta di una traduzione diversa dello stesso titolo. ndr.], "non equivale a garantire la completa vittoria del socialismo". Il compito principale del socialismo - l'organizzazione della produzione socialista - è ancora lontano. Può questo compito essere realizzato? È possibile ottenere la vittoria del socialismo in un solo paese, senza lo sforzo combinato dei proletari di svariati paesi avanzati? No, non lo è. "Gli sforzi di un paese sono sufficienti solo ad abbattere la borghesia - questo è ciò che la storia c'insegna. Per la vittoria finale del socialismo, per l'organizzazione della produzione socialista, gli sforzi di un solo paese, specialmente un paese contadino come la Russia, non sono sufficienti - per questa sono necessari gli sforzi dei proletari di svariati paesi avanzati". Stalin conclude la sua esposizione di questi pensieri con le parole: "Questi, in generale sono i fattori caratteristici della teoria leninista della rivoluzione proletaria".

Nell'autunno dello stesso anno, sotto l'influenza della lotta contro il "trotskysmo", fu improvvisamente scoperto che proprio la Russia è il paese che, a differenza degli altri, potrà costruire la società socialista facendo esclusivamente affidamento sulle proprie forze, sempre che non venga ostacolata dall'intervento straniero armato. In una nuova edizione dello stesso lavoro, Stalin scrisse: "Avendo consolidato il proprio potere, e ponendosi a capo dei contadini, il proletariato del paese vittorioso può e deve costruire la società socialista". Può e deve! "La vittoria della rivoluzione [...] almeno in svariati paesi [...] è necessaria" solo per "garantire pienamente il paese contro l'intervento straniero". La proclamazione di questa nuova concezione, che assegna al proletariato mondiale il ruolo di polizia di confine, finisce con quelle stesse parole: "Questi, in generale sono i fattori caratteristici della teoria leninista della rivoluzione proletaria". Nel corso di un anno Stalin ha imputato a Lenin due punti di vista diametralmente opposti riguardo un problema fondamentale del socialismo.

Ad una sessione plenaria del Comitato Centrale del 1927, Trotsky disse, riguardo queste due opinioni contraddittorie di Stalin: "Si potrebbe dire che Stalin ha fatto un errore e che dopo si è corretto. Ma come potrebbe egli sbagliarsi su una questione di tale portata? Se fosse stato vero il fatto che Lenin ha esposto la teoria del socialismo in un solo paese già nel 1915 (cosa completamente falsa), se fosse stato vero che successivamente Lenin non fece altro che rafforzare e sviluppare tale punto di vista (cosa completamente falsa) - allora, potremmo chiederci, come ha fatto Stalin ad immaginarsi, durante la vita di Lenin, durante l'ultimo periodo della sua vita, quell'opinione così scorretta su questioni di tale importanza che trova espressione nella prima versione del suo libro del 1924? Pare che su tale fondamentale questione Stalin sia sempre stato un "trotskysta", e che solo dopo il 1924 ha cessato d'esserlo. Sarebbe buona cosa se Stalin potesse mostrarci almeno una citazione dai suoi scritti anteriori al 1924 nella quale egli dice qualcosa a proposito della costruzione del socialismo in un paese solo. Egli non troverà mai tale citazione!" Tale sfida rimase senza risposta. »

Dopo la "scoperta" di Trotsky, questa tesi si è diffusa, ecco alcuni esempi:

« Stalin era abituato a fare queste giravolte, tanto più che quando cambiava idea faceva ritirare i libri in cui aveva sostenuto il contrario di quel che diceva in quel momento (e comunque nessuno si azzardava a ricordarglielo). Così nell’aprile del 1924 nelle Questioni del leninismo [errore nel testo; si tratta di Principi del leninismo. ndr.] pubblicate a puntate sulla Pravda aveva sostenuto l’impossibilità di costruire il socialismo in un paese solo, ma già nella nuova edizione dell’autunno dello stesso anno aveva sostituito quel passo con una frase che proclamava che il proletariato “può e deve” costruire il socialismo in un paese solo. » (Perchè ci serve Rosa Luxemburg)

« Ha tutt'al più importanza per la storia delle dottrine politiche, e non per la storia dei processi politici reali, rilevare che Stalin proprio nell'opuscolo del 1924 su I principi del leninismo, primo nucleo della successiva opera intitolata Questioni del leninismo, << aveva ancora preso le mosse come Trockij dall'impossibilità di realizzare il socialismo in un paese solo >>. In verità Stalin corresse precipitosamente le sue affermazioni, e le andò precisando in seguito con sempre maggiore chiarezza, accogliendo in toto i risultati della vigorosa critica di Bucharin (Sulla teoria della rivoluzione permanente), non appena si rese conto delle conseguenze pratiche della dottrina di Trockij. » (Eclissi del principe e crisi della storia: Apogeo e tramonto della democrazia rivoluzionaria nel XX secolo di Franco Angeli)

« Il libro nasce come polemica contro la concezione, elaborata da Stalin a partire dal 1924, del “socialismo in un solo paese”. Come si dimostra ampiamente nel testo, tale concezione non solo venne “scoperta” da un giorno all’altro da Stalin, che nell’autunno del 1924 per la prima volta la prese a cardine della sua politica in Urss, ma costituiva una rottura radicale con tutta la precedente tradizione del marxismo e in particolare con l’elaborazione di Lenin prima e dopo il 1917, elaborazione che era stata alla base della rivoluzione d’Ottobre e della fondazione dell’Internazionale comunista. » (Prefazione a La rivoluzione permanente di Claudio Bellotti)

Non è necessario soffermarsi sulle deformazioni presenti nella frase di Trotsky, quali l'omissione di alcune parti "sconvenienti" delle frasi di Stalin e le palesi bugie su Lenin.

E' invece interessante prendere in considerazione un fatto, più o meno consapevolmente tralasciato nelle citazioni precedenti, che chiarisce la questione: Stalin stesso aveva spiegato la corretta interpretazione della sua frase e il motivo per cui essa è stata cambiata; infatti in Questioni del leninismo scrive:

« Nell'opuscolo <<dei principi del leninismo>> (aprile 1924, 1a edizione) vi sono due formulazioni della questione della vittoria del socialismo in un solo paese. La prima formulazione suona:

<<prima si considerava impossibile la vittoria della rivoluzione in un solo paese, perchè si riteneva che per vincere la borghesia fosse necessaria l'azione comune dei proletari di tutti i paesi avanzati o almeno della maggior parte di essi. Oggi questo punto di vista non corrisponde più alla realtà. Oggi bisogna basarsi sulla possibilità di una tale vittoria, perchè il carattere ineguale, a sbalzi, dello sviluppo dei diversi paesi capitalistici nel periodo dell'imperialismo, lo sviluppo delle catastrofiche contraddizioni interne dell'imperialismo, che generano guerre inevitabili, lo sviluppo del movimento rivoluzionario in tutti i paesi del mondo,- tutto ciò determina non solo la possibilità, ma l'inevitabilità della vittoria del proletariato in singoli paesi>> (<<dei principi del leninismo>>).

Questa tesi è assolutamente giusta e non ha bisogno di commenti. Essa è diretta contro la teoria dei socialdemocratici, i quali ritengono che la presa del potere da parte del proletariato di un solo paese, senza contemporanea rivoluzione vittoriosa in altri paesi, sia un'utopia.
Nell'opuscolo <<dei principi del leninismo>> vi è però anche una seconda formulazione. Eccola:

<<ma abbattere il potere della borghesia e instaurare il potere del proletariato in un solo paese non vuole ancora dire assicurare la vittoria completa del socialismo. Lo scopo principale del socialismo, l'organizzazione della produzione socialista, rimane ancora da raggiungere. E' possibile assolvere questo compito? E' possibile ottenere la vittoria definitiva del socialismo in un solo paese, senza gli sforzi concordi dei proletari di alcuni paesi progrediti? No, non è possibile. Per rovesciare la borghesia è sufficiente lo sforzo di un solo paese: questo è quanto ci dimostra la storia della nostra rivoluzione. Per la vittoria definitiva del socialismo, per l'organizzazione della produzione socialista, gli sforzi di un solo paese, soprattutto di un paese contadino come la Russia, non sono più sufficienti; per questo sono necessari gli sforzi dei proletari di alcuni paesi avanzati>> (<<dei principi del leninismo>>, prima edizione).


Questa seconda formulazione era diretta contro l'affermazione dei critici del leninismo, contro i trotskisti, i quali dichiaravano che la dittatura del proletariato in un solo paese, senza la vittoria in altri paesi, non può <<resistere contro un'Europa conservatrice>>.
In questo senso,- ma solo in questo senso,- questa formulazione era allora (aprile 1924) sufficiente ed essa fu anche, senza dubbio, di una certa utilità.
Ma in seguito, allorquando la critica del leninismo su questo punto fu separata nel partito e si pose all'ordine del giorno una nuova questione, la questione della possibilità dell'edificazione della società socialista integrale colle forze del nostro paese, senza aiuto esterno, questa seconda formulazione apparve manifestamente insufficiente e, per conseguenza, errata.
In che cosa consiste l'insufficienza di questa formulazione?
La sua insufficienza consiste nel fatto che essa riunisce in una sola questione due questioni differenti, quella della possibilità di condurre a termine l'edificazione del socialismo con le forze di un solo paese, cui si deve dare una risposta affermativa, e quello di sapere se un paese, in cui esiste la dittatura del proletariato, si può considerare pienamente garantito dall'intervento e, per conseguenza, dalla restaurazione del vecchio regime, senza la vittoria della rivoluzione in una serie di altri paesi, questione, questa, a cui si deve dare una risposta negativa. E non sto a dire che la suddetta formulazione può far pensare che l'organizzazione della società socialista con le forze di un solo paese è impossibile, il che, naturalmente, è errato.
Per questa ragione ho modificato, ho rettificato quella formula nel mio opuscolo <<la Rivoluzione d'ottobre e la tattica dei comunisti russi>> (dicembre 1924) scomponendo la questione in due: - questione della garanzia completa contro la restaurazione del regime borghese e questione della possibilità dell'edificazione della società socialista integrale in un solo paese. A ciò sono arrivato, in primo luogo, affermando che la <<vittoria completa del socialismo>>, considerata come <<garanzia completa contro la restaurazione contro la restaurazione del vecchio regime>>, è possibile solamente grazie <<agli sforzi concordi dei proletari di alcuni paesi>> e, in secondo luogo, proclamando, sulla base dell'opuscolo di Lenin <<della cooperazione>>, l'incontestabile verità che noi disponiamo di tutto quanto è necessario per edificare una società socialista integrale (<<la Rivoluzione d'ottobre e la tattica dei comunisti russi >>). »

La nuova formulazione di cui parla Stalin sostituì quella vecchia nell'opuscolo Principi del leninismo e chiarì definitivamente la questione.

Il discorso di Stalin può sembrare mistificatorio, ma è solo un'apparenza; analizziamo ancora la frase:

<<ma abbattere il potere della borghesia e instaurare il potere del proletariato in un solo paese non vuole ancora dire assicurare la vittoria completa del socialismo. Lo scopo principale del socialismo, l'organizzazione della produzione socialista, rimane ancora da raggiungere. E' possibile assolvere questo compito? E' possibile ottenere la vittoria definitiva del socialismo in un solo paese, senza gli sforzi concordi dei proletari di alcuni paesi progrediti? No, non è possibile. Per rovesciare la borghesia è sufficiente lo sforzo di un solo paese: questo è quanto ci dimostra la storia della nostra rivoluzione. Per la vittoria definitiva del socialismo, per l'organizzazione della produzione socialista, gli sforzi di un solo paese, soprattutto di un paese contadino come la Russia, non sono più sufficienti; per questo sono necessari gli sforzi dei proletari di alcuni paesi avanzati>> (il grassetto e i colori sono miei. K.V.)

E' chiaro che i due differenti aspetti della questione vengono sovrapposti ed è altrettanto chiaro che, così stando le cose, bisognava dare un risposta negativa.


5. Spiegazioni complementari di Stalin e confutazione di una "critica" "di sinistra"

Finora ci siamo occupati delle falsità e delle deformazioni operate da trotskisti e borghesi. Ora esamineremo una "critica" proveniente dalla "Sinistra comunista"; nelle Note a La discussione sul «socialismo in un paese solo» si legge:

"Del resto, in un punto ulteriore del suo discorso, Stalin stesso aveva ammesso a denti stretti, in modo ambiguo:
«Se la costruzione del socialismo nell'Unione Sovietica riguarda la vittoria sulla nostra borghesia «nazionale», la vittoria definitiva [corsivo ns; nda] del socialismo riguarda, a sua volta, la vittoria sulla borghesia mondiale».
Ma è verosimile che questo distinguo fosse puramente tattico."

Se è vero che l'affermazione di Stalin sulla vittoria definitiva del socialismo era solo "un distinguo puramente tattico", verrebbe da chiedersi perchè, nel 1938, quando ormai l'opposizione era sconfitta, Stalin abbia ancora impostato allo stesso modo il problema nella sua celebre Lettera a Ivanov, nella quale scrive:

« Può il socialismo vincere in un paese, che è circondato da potenti paesi capitalistici, considerarsi completamente garantito dal pericolo di un'invasione armata (intervento) e, di conseguenza dal tentativo di restaurazione del capitalismo del nostro paese? Possono la nostra classe operaia e i nostri contadini con le loro forze, senza un serio aiuto della classe operaia dei paesi capitalistici, vincere la borghesia degli altri paesi, così come hanno vinto la propria borghesia? In altre parole: si può considerare la vittoria del socialismo nel nostro paese definitiva, cioè liberata del pericolo di un’aggressione militare e di tentativi di restaurazione del capitalismo, mentre la vittoria del socialismo esiste solo in un paese, mentre continua ad esistere l'accerchiamento capitalistico.
Tali sono i problemi che si ricollegano al secondo aspetto della questione della `vittoria del socialismo nel nostro paese. Il leninismo risponde a questi problemi negativamente. Il leninismo insegna che e la vittoria definitiva del socialismo nel senso di una piena garanzia contro la restaurazione dei rapporti borghesi è possibile solo su scala internazionale (vedi la nota risoluzione della 14.a conferenza del Partito Comunista dell’U.R.S.S.). Ciò significa che il serio aiuto del proletariato internazionale è quella forza senza la quale non può essere risolto il problema della vittoria definitiva del socialismo in un solo paese. Ciò non significa, naturalmente, che noialtri dobbiamo starcene con le braccia incrociate ad aspettare un aiuto dal di fuori. Al contrario, l'aiuto del proletariato internazionale deve essere congiunto col nostro lavoro per il rafforzamento dell’Esercito Rosso e della Flotta Rossa per la mobilitazione di tutto il paese per la lotta contro l’aggressione militare ai tentativi di restaurazione dei rapporti borghesi. » (il grassetto è mio. K.V.)

Più oltre Stalin precisa:

« [...] questa questione contiene due problemi differenti.
a) il problema dei rapporti interni del nostro paese, cioè il problema della vittoria sulla nostra borghesia e dell'edificazione del socialismo integrale;
b) il problema dei rapporti esterni del nostro paese, cioè il problema della piena garanzia del nostro paese contro i pericoli di un intervento militare e di restaurazione.
Il primo problema è già stato da noi risolto, poiché la nostra borghesia è già liquidata e il socialismo è già edificato nell’essenziale. Questo, da noi, si chiama vittoria del socialismo o, più esattamente, vittoria dell'edificazione socialista in un solo paese. [...]
Il secondo problema lo si può risolvere soltanto mediante l’unione dei seri sforzi del proletariato internazionale con gli sforzi ancora più seri di tutto il nostro popolo sovietico. Bisogna rafforzare e consolidare i legami proletari internazionali della classe operaia dell’U.R.S.S. con la classe operaia dei paesi borghesi, bisogna organizzare l’aiuto politico della classe operaia dei paesi borghesi alla classe operaia del nostro paese per il caso di un’aggressione militare, contro il nostro paese, così come bisogna organizzare ogni sorta di aiuto della classe operaia del nostro paese alla classe operaia dei paesi borghesi; bisogna rafforzare e consolidare con tutti i mezzi il nostro Esercito Rosso, la nostra Flotta Rossa, la nostra Aviazione Rossa, la nostra Società d’incoraggiamento alla difesa aero-chimica. Bisogna tenere tutto il nostro popolo in uno stato di mobilitazione perché sia pronto a fare fronte al pericolo di un’aggressione militare, perché “nessun caso” e nessuna manovra dei nostri nemici esterni ci possa cogliere alla sprovvista... » (il grassetto è mio. K.V.)

Battuta in breccia la "critica" della "Sinistra comunista", resta da chiarire un'ultima questione inerente alla Lettera a Ivanov: Stalin mette in rilievo soprattutto la difesa dell'URSS e si occupa poco dell'internazionalismo; ciò potrebbe far pensare, nelle menti dei "sinistri", ad un presunto "ulteriore allontanamento dalla rivoluzione internazionale".

Questi cervellotismi non hanno ragion d'essere, per almeno due ragioni:

a) L'oggetto della riflessione di Stalin è specificamente la definizione della vittoria definitiva o meno del socialismo nell'URSS; infatti Ivanov chiede:

« Vi prego, compagno Stalin, di spiegarmi se abbiamo la vittoria definitiva del socialismo o se non l'abbiamo ancora. »

b) Nella prima citazione, Stalin rimanda alla risoluzione della 14.a conferenza del Partito Comunista dell’U.R.S.S., di cui si parla diffusamente nelle Questioni del leninismo (cfr. il paragrafo 2 di questo opuscolo).

Per concludere questa esposizione e fugare ogni dubbio, sono adatte, più di ogni mia spiegazione, le parole di Stalin in Il marxismo e la linguistica:

« Il marxismo è la scienza delle leggi di sviluppo della natura e della società, la scienza della rivoluzione delle masse oppresse e sfruttate, la scienza della vittoria del socialismo in tutti i Paesi, la scienza dell'edificazione della società comunista. »


6. Conseguenze del socialismo in un solo paese sullo Stato

Un aspetto particolare della teoria del socialismo in un solo paese è la sua influenza sulla teoria marxista dello Stato. Secondo le tesi dei classici, infatti, lo Stato dovrebbe iniziare ad estinguersi subito dopo la socializzazione dei mezzi di produzione. Ma come fare con l'accerchiamento capitalistico? Stalin dà la sua risposta nel Rapporto al XVIII Congresso del PC(b):

"Prendiamo, per esempio, la classica formula della teoria dello sviluppo dello Stato socialista, data da Engels :
«Quando non vi saranno più classi sociali che debbano essere tenute sottomesse, quando non vi sarà più il dominio di una casse su di un'altra, né la lotta per l'esistenza, che ha la sua origine nell'anarchia attuale della produzione, quando saranno eliminati i conflitti e le violenze che ne derivano, allora non vi sarà più nessuno da reprimere e da frenare, allora sparirà la necessità del potere statale che adempie oggi a questa funzione. Il primo atto col quale lo Stato agirà veramente come rappresentante di tutta la società, — la trasformazione dei mezzi di produzione in proprietà sociale, — sarà il suo ultimo, atto indipendente come Stato. L'intervento del potere statale nei rapporti sociali a poco a poco diventerà superfluo e cesserà di per se stesso. Invece del governo sulle persone, si avrà l'amministrazione sulle cose e la direzione dei processi di produzione. Lo Stato non si a abolisce ; lo Stato si estingue». (F. Engels, Anti-Duhring, pag. 202 ed. russa 1933).
E giusta questa tesi di Engels ?
Sì, è giusta, ma ad una di queste due condizioni : a) se si studia lo Stato socialista dal punto di vista del solo sviluppo interno del paese, astraendo anticipatamente dal fattore internazionale, considerando il paese e lo Stato, per comodità d'indagine, al di fuori della situazione internazionale ; oppure b) se si suppone, che il socialismo abbia già vinto in tutti i paesi o nella maggioranza dei paesi, che invece dell'accerchiamento capitalistico esista l'accerchiamento socialista, non vi sia più la minaccia di un'aggressione dall'esterno, non vi sia più bisogno di rafforzare l'esercito e lo Stato.
Ma se il socialismo ha vinto soltanto in un paese preso a parte e non è quindi affatto possibile fare astrazione dalla situazione internazionale, come fare in questo caso ? A questa domanda la formula di Engels non dà risposta. Engels, del resto, non si pone questa domanda ; per conseguenza, non può neanche darle una risposta. Engels parte dal presupposto che il socialismo abbia già vinto, più o meno contemporaneamente, in tutti i paesi o nella maggioranza dei paesi. Per conseguenza, Engels esamina qui non questo o quel concreto Stato socialista di questo o quel singolo paese, ma lo sviluppo dello Stato socialista in generale, ammettendo il fatto della vittoria del socialismo nella maggioranza dei paesi, secondo la formula: «Ammettiamo che il socialismo abbia vinto. nella maggioranza dei paesi; si domanda: quali cambiamenti deve subire in questo caso lo Stato proletario, socialista?...». Soltanto questo carattere generale e astratto del problema può spiegare perché, esaminando la questione dello Stato socialista, Engels astragga completamente da un fattore come le condizioni internazionali, la situazione internazionale.
Ma da ciò deriva che non si può estendere la formula generale di Engels sulla sorte dello Stato socialista in generale, al caso particolare e concreto della vittoria del socialismo in un solo paese, preso a parte, che è circondato da paesi capitalistici, che è esposto alla minaccia di un'aggressione armata dall'esterno ; paese che non può, per conseguenza, fare astrazione dalla situazione internazionale e deve avere a sua disposizione anche un esercito bene istruito, degli organi punitivi bene organizzati e un forte servizio di sorveglianza; paese che, per conseguenza, deve avere un proprio Stato sufficientemente forte per poter difendere le conquiste del socialismo dall'aggressione esterna. Non si può esigere dai classici del marxismo, che sono separati dal nostro tempo da un periodo di 45-55 anni, che essi prevedessero per un avvenire lontano tutti i casi possibili di zig-zag della storia in ogni paese, singolarmente preso. Sarebbe ridicolo esigere che i classici del marxismo avessero elaborato per noi delle soluzioni pronte per tutte le questioni teoriche immaginabili che sarebbero potute sorgere in ogni paese singolarmente preso, in 50-100 anni; affinché noi, posteri dei classici dei marxismo, avessimo la possibilità di rimanere tranquillamente coricati e rimasticare soluzioni bell'e pronte. Ma noi possiamo e dobbiamo esigere dai marxisti-leninisti del nostro tempo che essi non si limitino ad apprendere le singole tesi generali del marxismo, che essi penetrino la sostanza del marxismo, che essi apprendano a tener conto dell'esperienza di un ventennio di esistenza dello Stato socialista nel nostro paese, che essi apprendano, infine, appoggiandosi a questa esperienza e partendo dalla sostanza del marxismo, a concretizzare singole tesi generali del marxismo, a precisarle e a perfezionarle."

Quindi lo Stato, nelle condizioni del socialismo in un solo paese è necessario per difendere la società socialista dall'accerchiamento capitalistico; perciò deve essere rafforzato fino al termine di questo accerchiamento.

Stalin precisa la sua concezione in Il marxismo e la linguistica:

« Engels nel suo Antidühring ha detto che, dopo la vittoria della rivoluzione socialista, lo Stato deve scomparire. Su questa base, dopo la vittoria socialista nel nostro Paese, i dogmatici e i talmudisti del nostro partito cominciarono a chiedere che il partito prendesse delle misure per la più sollecita scomparsa del nostro Stato, per la dissoluzione degli organi dello Stato, per rinunziare all'esercito regolare.

Tuttavia, i marxisti sovietici, sulla base dello studio della situazione mondiale nei nostri tempi, sono giunti alla conclusione che, fino a che dura l'accerchiamento capitalistico, quando la vittoria della rivoluzione socialista ha avuto luogo in un solo Paese, mentre in tutti gli altri Paesi domina il capitalismo, il Paese della rivoluzione vittoriosa non deve indebolire, ma invece rafforzare in ogni modo il suo Stato, gli organi dello Stato, gli organi della vigilanza, l'esercito, a meno che questo paese non voglia essere travolto dall'accerchiamento capitalistico. I marxisti russi sono giunti alla conclusione che la formula di Engels considerava la vittoria del socialismo in tutti i Paesi, o nella maggior parte di essi, che essa è inapplicabile nel caso in cui il socialismo si affermi in un solo Paese, preso singolarmente, mentre in tutti gli altri Paesi domina il capitalismo.
Come si vece, abbiamo qui due diverse formule circa la questione della sorge di uno Stato socialista, che si escludono l'una con l'altra.
I dogmatici e i talmudisti possono dire che questa circostanza crea una situazione intollerabile, che una di queste formule deve essere respinta come assolutamente erronea, mentre l'altra, in quanto assolutamente giusta, deve essere applicata a tutti i periodi di sviluppo dello Stato socialista. I marxisti, tuttavia, non possono non sapere che i dogmatici e i talmudisti si sbagliano, perché entrambe queste formule sono giuste, ma non in senso assoluto, bensì ciascuna per la sua epoca; la formula dei marxisti sovietici, per il periodo della vittoria del socialismo in uno o più Paesi, e la formula di Engels, per il periodo in cui la successiva vittoria del socialismo in singoli Paesi condurrà alla vittoria del socialismo nella maggioranza dei Paesi, e quando verranno così a crearsi le condizioni necessarie per l'applicazione della formula di Engels. »

Sono così battute in breccia le possibile "obiezioni" di stampo dogmatico. Non sono necessarie ulteriori precisazioni, se non un breve accenno ad altre possibili "obiezioni" dogmatiche alla teoria del socialismo in un solo paese; Stalin scrive nella sua Lettera al compagno Iermakovski:

"La risposta negativa di Engels alla domanda : « Questa rivoluzione potrà verificarsi soltanto in un singolo paese? », rispecchia interamente l'epoca del capitalismo premonopolistico, l'epoca preimperialista, in cui non esistevano ancora le condizioni per lo sviluppo ineguale, a salti, dei paesi capitalistici, e in cui, quindi, non esistevano le premesse concrete della vittoria della rivoluzione proletaria in un solo paese (la possibilità della vittoria di questa rivoluzione in un solo paese scaturisce, com'è noto, dalla legge dello sviluppo ineguale dei paesi capitalistici nel periodo imperialistico). La legge dello sviluppo ineguale dei paesi capitalistici e la relativa tesi della possibilità della vittoria della rivoluzione proletaria in un solo paese furono enunciate e potevano essere enunciate da Lenin solo nel periodo dell'imperialismo. Così si spiega, fra l'altro, che il leninismo è il marxismo dell'epoca dell'imperialismo, che esso rappresenta l'ulteriore sviluppo dei marxismo, il quale si è formato nell'epoca preimperialistica. Engels, con tutto il suo genio, non poteva vedere quello che ancora non esisteva nel periodo del capitalismo premonopolistico, negli anni successivi al 1840, quando scriveva i suoi Princìpi del comunismo, e che sorse solo in seguito, nel periodo del capitalismo monopolistico. D'altra parte, Lenin, marxista geniale, non poteva non vedere quello che già era sorto dopo la morte di Engels, nel periodo dell'imperialismo. La differenza fra Lenin ed Engels è la differenza che esiste fra i due periodi storici che li separano.
Non si può neppure dire che « la teoria di Trotski si identifica con la dottrina di Engels ». Engels aveva ragione di dare una risposta negativa alla diciannovesima domanda (vedi i suoi Princìpi del comunismo) nel periodo del capitalismo premonopolistico, nel decennio 1840-1850, in cui non si poteva neppure parlare della legge dello sviluppo ineguale dei paesi capitalisti. Trotski, al contrario, non ha nessun motivo di ripetere nel XX secolo la vecchia risposta di Engels, presa da un'epoca già superata, e applicarla meccanicamente alla nuova epoca imperialistica, in cui la legge dello sviluppo ineguale è diventata un fatto generalmente noto. Engels basa la sua risposta sull'analisi del capitalismo premonopolistico a lui contemporaneo. Trotski invece non analizza, ma fa astrazione dall'epoca contemporanea, dimentica che egli non vive nel decennio 1840-1850, ma nel XX secolo, nell'epoca dell'imperialismo, e ingegnosamente appiccica il naso di un Ivan Ivanovic del decennio 1840-1850 sopra il mento di un Ivan Nikiforovic [Protagonisti del racconto di Gogol, Come litigarono Ivan Ivanovic e Ivan Nikiforovic. ndr.] dei primi del XX secolo, pensando evidentemene di poterla fare così in barba alla storia. Non penso che questi due metodi diametralmente opposti permettano di parlare dell'« identità della teoria di Trotski con la dottrina di Engels »."

Così sono confutati anche i possibili "argomenti" che fanno astrazione dalle mutate condizioni del capitalismo.

7. Fallimento?

Non possiamo ignorare le affermazioni, tenutesi in certi luoghi, secondo cui il socialismo in un solo paese sarebbe una teoria fallimentare. Ecco un esempio di tali tesi:

« Lo stalinismo ebbe la pretesa, rivelatasi fallimentare, di instaurare il "socialismo in un solo paese" senza il sostegno, giudicato invece indispensabile da Lenin, del proletariato internazionale. » (Lenin e Stalin)

« La teoria del socialismo in un paese solo- non solo è stata sconfitta dalla storia- è la sola che si opponga in modo del tutto conseguente alla teoria della rivoluzione permanente, dunque al socialismo internazionale e al marxismo rivoluzionario. » (L'attualità della rivoluzione permanente di Eugenio Gemmo)

Tralasciando le deformazioni teoriche di stampo trotskista, che sono già state confutate (cfr. il paragrafo 3 di questo opuscolo), qui viene smascherato l'astrattismo dei trotskisti.

Stalin, essendo marxista e dovendo tenere conto dei fatti concreti, nella Lettera a Ivanov scrive:

« Lenin insegna che “noi abbiamo tutto ciò che è necessario per l’edificazione di una compiuta società socialista”. Noi possiamo e dobbiamo dunque, con le nostre proprie forze, vincere la nostra borghesia e costruire la società socialista. Trotzki, Zinoviev, Kamenev e simili messeri, divenuti in seguito spie e agenti del fascismo, negavano la possibilità di edificare il socialismo nel nostro paese senza che prima la rivoluzione socialista avesse vinto negli altri paesi, nei paesi capitalistici. Questi messeri, in sostanza, volevano riportare il nostro paese indietro sulla via dello sviluppo borghese, coprendo la loro apostasia con falsi argomenti sulla “vittoria della rivoluzione” negli altri paesi. E' proprio su questo punto che si è svolta la discussione nel nostro partito con questi signori. L’ulteriore andamento dello sviluppo del nostro paese ha mostrato che il Partito aveva ragione, e che Trotzki e compagnia
avevano torto.
Infatti, nel frattempo siamo riusciti a liquidare la nostra borghesia, a stabilire una fraterna collaborazione con i contadini ed a costruire, nell'essenziale, la società socialista, sebbene la rivoluzione socialista non abbia vinto negli altri paesi. »

Per ogni marxista-leninista che si rispetti, il socialismo in un solo paese è una realtà, un fenomeno concretamente possibile.

Con lo stesso punto di vista possiamo rispondere ad un'altra questione scottante: è possibile oggi, quando si parla addiritura di "scomparsa dell'autorità dei singoli Stati", edificare il socialismo in un solo paese?

Meglio di qualunque spiegazione teorica, è la pratica stessa a rispondere: oggi il socialismo in un singoli paesi esiste, in Corea del Nord e a Cuba ad esempio; la legge dell'ineguale sviluppo continua ad essere in vigore; l'imperialismo esiste ancora, così come esistono pochi paesi "civili" che opprimono e sfruttano la maggioranza del cosidetto "Sud del mondo".

Come ci insegna Lenin in Stato e rivoluzione:

« La verità è sempre concreta. »

Concludendo questa esposizione, vale la pena di citare le parole di Stalin, tratte dall'articolo Sul progetto di Costituzione dell’U.R.S.S., per rispondere a chi vuole, come i poltici tedeschi di cui parla Stalin, negare l'evidenza:

« Questi sono i fatti. E i fatti, come si dice, sono testardi. I signori dell’organo ufficioso tedesco possono dire: tanto peggio per i fatti. Ma allora si può loro rispondere con le parole del noto proverbio russo: “Per gli imbecilli, non v’è legge che valga”. »


Klim Voroshilov

Edited by Klim Voroshilov - 18/9/2011, 14:36
view post Posted: 25/7/2011, 22:30 Stalin e la teoria marxista dello Stato - La voce del popolo
L'esperienza storica del socialismo nell'URSS non ha solo provocato nei capitalisti la più grande paura che avessero mai provato, non ha solo costituito un simbolo ed un punto di riferimento per le masse oppresse dei ogni paese; l'esperienza sovietica ha anche avuto l'iportante merito di porre all'ordine del giorno nuove questioni e problematizzare moltissimi punti della dottrina marxista-leninista rimasti sviluppati in modo insufficiente.

I dirigenti sovietici erano ben consapevoli che il materialismo dialettico e il materialismo storico sono il nucleo essenziale del marxismo e che l'uomo deve usarli per elaborare teorie che riflettano il più possibile la realtà oggettiva.
D'altra parte i compagni sovietici sapevano anche che le altre teorie marxiste vanno storicizzate ed aggiornate al mutare della realtà.

Il marxismo è la scienza delle leggi di sviluppo della natura e della società, la scienza della rivoluzione delle masse oppresse e sfruttate, la scienza della vittoria del socialismo in tutti i Paesi, la scienza dell'edificazione della società comunista. Il marxismo, come scienza, non può restare immobile, ma si sviluppa e si perfeziona. Nel suo sviluppo il marxismo non può non arricchirsi di nuove esperienze, di nuove conoscenze, e pertanto le sue singole formule e conclusioni non possono non mutare nel corso del tempo, non possono non essere sostituite da nuove formule e conclusioni, corrispondenti ai nuovi compiti storici. Il marxismo non conosce conclusioni o formule immutabili obbligatorie per tutte le epoche e per tutti i periodi. Il marxismo è nemico di qualsiasi dogmatismo. - Stalin in Il marxismo e la linguistica

Questa è la tesi fondamentale su cui poggia tutta l'elaborazione teorica dei sovietici. Essa non è condivisa dalla "Sinistra" "comunista". Infatti Amadeo Bordiga scrive nel Dialogato coi morti: "In quello scritto (Problemi economici del socialismo nell'URSS. Ndr) come in molti altri colpevolmente superficiali, ad esempio quelli sul materialismo, Stalin sì mostra davvero convinto che la dottrina del partito evolve nella storia, e alcune delle sue parti vanno gettate via e sostituite con altre (e qui quelli del XX congresso peccano come lui e molto più di lui); a questa correzione e mutazione di principii presiede un pontefice massimo e questo era lui (il XX congresso vorrebbe ritirare questo secondo punto, per grave smarrimento davanti a una vera bancarotta scientifica, ma i rimedi al lavoro ideologico che si vedono proposti sono proprio piccini piccini).

I "marxisti" di questo genere peccano visibilmente di metafisica e di idealismo e non è il caso di occuparsi di loro in questa sede.

Torniamo al nostro argomento.
Uno delle teorizzaioni più importanti e allo stesso tempo più ignorate dai più è quella relativa alla questione dello Stato e del suo ruolo nel regime socialista.

Su questo fronte abbiamo oggi prevalentemente 2 schieramenti:
da un lato abbiamo la tendenza di destra rappresentata dai vari "socialismi nazionali" et similia; questi signori negano la tesi marxista relativa all'estinzione dello Stato e vorrebbero mantenere in eterno l'ordinamento "socialista"; in tal modo essi non si pongono il fine ultimo del raggiungimento del comunismo e si allontanano decisamente dal marxismo.
Dall'altro lato abbiamo i dogmatici e i talmudici (si, sempre loro), tra cui rientrano anche i bordighisti; questi ultimi rifiutano la teoria leninista-staliniana del socialismo in un solo paese e negano quindi il ruolo dello Stato nel socialismo; all'infuori dei già citati "marxisti", i dogmatici tendono a sostenere la tesi dell'estinzione dello Stato dopo la socializzazione dei mezzi di produzione appartenente al marxismo classico senza analizzare la realtà oggettiva.

I marxisti-leninisti, seguendo lo schema hegeliano per la soluzione delle contraddizioni (tesi - antitesi - sintesi), non aderiscono nè all'opportunismo, nè al dogmatismo; essi sintetizzano entrambe le suddette posizioni in un modello superiore.

Fino alla vittoria definitiva del socialismo in un paese, lo Stato permane e si rafforza. Questo può sembrare una negazione della teoria dell'estinzione dello Stato, come nel caso degli opportunisti, ma non è così; Stalin riconosce la piena validità della teoria dell'estinzione dello Stato, ma la contestualizza: Marx ed Engels scrivevano all'epoca del capitalismo concorrenziale, ovvero quando la vittoria del socialismo in un solo paese era ritenuta impossibile; quindi presupponevano la vittoria del socialismo almeno nella maggior parte dei paesi avanzati.

Quali sono dunque le cause del permanere dello Stato fino al raggiungimento delle condizioni indicate da Engels?
In primo luogo l'accerchiamento capitalista, che pone all'ordine del giorno la necessità concreta di avere una protezione organizzata, cioè la difesa che solo un esercito può assicurare.
In secondo luogo la continuazione della lotta di classe contro i resti delle classi reazionarie che hanno perso il potere e che opporranno una maggiore resistenza, forti anche del supporto dei paesi capitalisti; anche se la contraddizione dialettica tra classi dovesse svanire rapidamente i compiti dello Stato non finirebbero: dato che la sovrastruttura ideologica tarda a modificarsi rispetto alla struttura, lo Stato deve agire per appoggiare il consolidamento dell'egemonia culturale del proletariato, fino alla sostituzione della contraddizione dialettica con il sistema critica-autocritica; questo stadio era stato raggiunto nell'URSS dopo la Grande Guerra Patriottica grazie alla politica culturale di Zhdanov e fu perso a causa della "destalinizzazione".

Altro compito dello Stato socialista è quello di impegnarsi ad adeguare i rapporti di produzione e di proprietà alle forze produttive; eliminare gradualmente la produzione e la circolazione mercantile sostituendole con lo scambio di prodotti in natura; aumentare gradualmente il livello di socializzazione dei mezzi di produzione; liquidare la differenza sostanziale tra lavoro fisico e intellettuale, tra città e campagna; aumentare la produzione sociale e sostituire la retribuzione in base ai bisogni a quella in base al lavoro svolto.

Riguardo alla tendenza dogmatica sul problema dello Stato, essa era presente anche nell'URSS fino alle epurazioni degli anni 30, quando i fatti concreti dimostrarono che era necessario adeguare la teoria alla prassi. Esponente di tale tendenza fu il famoso teorico marxista del diritto Pašukanis, il quale, accanto a molte formulazioni esatte, commetteva l'errore di sottovalutare l'importanza dello Stato nella situazione concreta dell'URSS e di teorizzarne la scomparsa a prescindere dalle contraddizioni esterne.
L'errore è notevole ed è tra le cause che portarono alla sottovalutazione generale del ruolo dello Stato nella società sovietica, che sarebbe continuato fino agli anni 30.

Fu Vyšinskij, nuovo teorico del diritto resosi famoso per i suoi infucati discorsi ai processi di Mosca in veste di Procuratore generale, a elaborare compiutamente la nuova teoria marxista dello Stato prevedendo il rafforzamento dello stesso.

Il revisinismo moderno ha fin dall'inizio negato non solo le teorie giuridiche di Vyšinskij e la concezione dello Stato elaborata da Stalin, ma hanno anche gettato via le tesi classiche del marxismo sullo Stato. La fonte dell'errore, sconosciuta ai revisionisti ma non a noi, è niente meno che Kautsky, il quale analizzava lo Stato (come anche l'imperialismo), ovvero una parte della sovrastruttura, creata cioè dai rapporti di produzione, staccandolo dai rapporti di produzione stessi.
Oggi i revisionisti commettono lo stesso errore e perseverano nel commetterlo anche dopo che la pratica ha dimostrato che la reazionaria e utopica teoria della "via parlamentare al socialismo" è destinata al fallimento.
Perseverino pure, accada ciò che deve accadere!
Noi abbimo già capito da tempo il carattere borghese di simili messeri, le masse lo capiranno con l'esperienza politica diretta.

Noi marxisti-leninisti non daremo mai credito nè chi travisa il marxismo dogmatizzandolo nè a chi lo rifiuta con le argomentazioni più ridicole.
Che la via indicata da Stalin, Vyšinskij e Zhdanov serva da esempio e strumento per i futuri Stati socialisti.

Klim Voroshilov
view post Posted: 25/7/2011, 22:29 Stalin e la teoria marxista dello Stato - Articoli scientifici marxisti
L'esperienza storica del socialismo nell'URSS non ha solo provocato nei capitalisti la più grande paura che avessero mai provato, non ha solo costituito un simbolo ed un punto di riferimento per le masse oppresse dei ogni paese; l'esperienza sovietica ha anche avuto l'iportante merito di porre all'ordine del giorno nuove questioni e problematizzare moltissimi punti della dottrina marxista-leninista rimasti sviluppati in modo insufficiente.

I dirigenti sovietici erano ben consapevoli che il materialismo dialettico e il materialismo storico sono il nucleo essenziale del marxismo e che l'uomo deve usarli per elaborare teorie che riflettano il più possibile la realtà oggettiva.
D'altra parte i compagni sovietici sapevano anche che le altre teorie marxiste vanno storicizzate ed aggiornate al mutare della realtà.

Il marxismo è la scienza delle leggi di sviluppo della natura e della società, la scienza della rivoluzione delle masse oppresse e sfruttate, la scienza della vittoria del socialismo in tutti i Paesi, la scienza dell'edificazione della società comunista. Il marxismo, come scienza, non può restare immobile, ma si sviluppa e si perfeziona. Nel suo sviluppo il marxismo non può non arricchirsi di nuove esperienze, di nuove conoscenze, e pertanto le sue singole formule e conclusioni non possono non mutare nel corso del tempo, non possono non essere sostituite da nuove formule e conclusioni, corrispondenti ai nuovi compiti storici. Il marxismo non conosce conclusioni o formule immutabili obbligatorie per tutte le epoche e per tutti i periodi. Il marxismo è nemico di qualsiasi dogmatismo. - Stalin in Il marxismo e la linguistica

Questa è la tesi fondamentale su cui poggia tutta l'elaborazione teorica dei sovietici. Essa non è condivisa dalla "Sinistra" "comunista". Infatti Amadeo Bordiga scrive nel Dialogato coi morti: "In quello scritto (Problemi economici del socialismo nell'URSS. Ndr) come in molti altri colpevolmente superficiali, ad esempio quelli sul materialismo, Stalin sì mostra davvero convinto che la dottrina del partito evolve nella storia, e alcune delle sue parti vanno gettate via e sostituite con altre (e qui quelli del XX congresso peccano come lui e molto più di lui); a questa correzione e mutazione di principii presiede un pontefice massimo e questo era lui (il XX congresso vorrebbe ritirare questo secondo punto, per grave smarrimento davanti a una vera bancarotta scientifica, ma i rimedi al lavoro ideologico che si vedono proposti sono proprio piccini piccini).

I "marxisti" di questo genere peccano visibilmente di metafisica e di idealismo e non è il caso di occuparsi di loro in questa sede.

Torniamo al nostro argomento.
Uno delle teorizzaioni più importanti e allo stesso tempo più ignorate dai più è quella relativa alla questione dello Stato e del suo ruolo nel regime socialista.

Su questo fronte abbiamo oggi prevalentemente 2 schieramenti:
da un lato abbiamo la tendenza di destra rappresentata dai vari "socialismi nazionali" et similia; questi signori negano la tesi marxista relativa all'estinzione dello Stato e vorrebbero mantenere in eterno l'ordinamento "socialista"; in tal modo essi non si pongono il fine ultimo del raggiungimento del comunismo e si allontanano decisamente dal marxismo.
Dall'altro lato abbiamo i dogmatici e i talmudici (si, sempre loro), tra cui rientrano anche i bordighisti; questi ultimi rifiutano la teoria leninista-staliniana del socialismo in un solo paese e negano quindi il ruolo dello Stato nel socialismo; all'infuori dei già citati "marxisti", i dogmatici tendono a sostenere la tesi dell'estinzione dello Stato dopo la socializzazione dei mezzi di produzione appartenente al marxismo classico senza analizzare la realtà oggettiva.

I marxisti-leninisti, seguendo lo schema hegeliano per la soluzione delle contraddizioni (tesi - antitesi - sintesi), non aderiscono nè all'opportunismo, nè al dogmatismo; essi sintetizzano entrambe le suddette posizioni in un modello superiore.

Fino alla vittoria definitiva del socialismo in un paese, lo Stato permane e si rafforza. Questo può sembrare una negazione della teoria dell'estinzione dello Stato, come nel caso degli opportunisti, ma non è così; Stalin riconosce la piena validità della teoria dell'estinzione dello Stato, ma la contestualizza: Marx ed Engels scrivevano all'epoca del capitalismo concorrenziale, ovvero quando la vittoria del socialismo in un solo paese era ritenuta impossibile; quindi presupponevano la vittoria del socialismo almeno nella maggior parte dei paesi avanzati.

Quali sono dunque le cause del permanere dello Stato fino al raggiungimento delle condizioni indicate da Engels?
In primo luogo l'accerchiamento capitalista, che pone all'ordine del giorno la necessità concreta di avere una protezione organizzata, cioè la difesa che solo un esercito può assicurare.
In secondo luogo la continuazione della lotta di classe contro i resti delle classi reazionarie che hanno perso il potere e che opporranno una maggiore resistenza, forti anche del supporto dei paesi capitalisti; anche se la contraddizione dialettica tra classi dovesse svanire rapidamente i compiti dello Stato non finirebbero: dato che la sovrastruttura ideologica tarda a modificarsi rispetto alla struttura, lo Stato deve agire per appoggiare il consolidamento dell'egemonia culturale del proletariato, fino alla sostituzione della contraddizione dialettica con il sistema critica-autocritica; questo stadio era stato raggiunto nell'URSS dopo la Grande Guerra Patriottica grazie alla politica culturale di Zhdanov e fu perso a causa della "destalinizzazione".

Altro compito dello Stato socialista è quello di impegnarsi ad adeguare i rapporti di produzione e di proprietà alle forze produttive; eliminare gradualmente la produzione e la circolazione mercantile sostituendole con lo scambio di prodotti in natura; aumentare gradualmente il livello di socializzazione dei mezzi di produzione; liquidare la differenza sostanziale tra lavoro fisico e intellettuale, tra città e campagna; aumentare la produzione sociale e sostituire la retribuzione in base ai bisogni a quella in base al lavoro svolto.

Riguardo alla tendenza dogmatica sul problema dello Stato, essa era presente anche nell'URSS fino alle epurazioni degli anni 30, quando i fatti concreti dimostrarono che era necessario adeguare la teoria alla prassi. Esponente di tale tendenza fu il famoso teorico marxista del diritto Pašukanis, il quale, accanto a molte formulazioni esatte, commetteva l'errore di sottovalutare l'importanza dello Stato nella situazione concreta dell'URSS e di teorizzarne la scomparsa a prescindere dalle contraddizioni esterne.
L'errore è notevole ed è tra le cause che portarono alla sottovalutazione generale del ruolo dello Stato nella società sovietica, che sarebbe continuato fino agli anni 30.

Fu Vyšinskij, nuovo teorico del diritto resosi famoso per i suoi infucati discorsi ai processi di Mosca in veste di Procuratore generale, a elaborare compiutamente la nuova teoria marxista dello Stato prevedendo il rafforzamento dello stesso.

Il revisinismo moderno ha fin dall'inizio negato non solo le teorie giuridiche di Vyšinskij e la concezione dello Stato elaborata da Stalin, ma hanno anche gettato via le tesi classiche del marxismo sullo Stato. La fonte dell'errore, sconosciuta ai revisionisti ma non a noi, è niente meno che Kautsky, il quale analizzava lo Stato (come anche l'imperialismo), ovvero una parte della sovrastruttura, creata cioè dai rapporti di produzione, staccandolo dai rapporti di produzione stessi.
Oggi i revisionisti commettono lo stesso errore e perseverano nel commetterlo anche dopo che la pratica ha dimostrato che la reazionaria e utopica teoria della "via parlamentare al socialismo" è destinata al fallimento.
Perseverino pure, accada ciò che deve accadere!
Noi abbiamo già capito da tempo il carattere borghese di simili messeri, le masse lo capiranno con l'esperienza politica diretta.

Noi marxisti-leninisti non daremo mai credito nè chi travisa il marxismo dogmatizzandolo nè a chi lo rifiuta con le argomentazioni più ridicole.
Che la via indicata da Stalin, Vyšinskij e Zhdanov serva da esempio e strumento per i futuri Stati socialisti.

Klim Vorshilov
view post Posted: 9/7/2011, 22:19 La Questione dell'adattamento attuale - La voce del popolo
Di niente compagno, la questione dell'automazione della produzione è un rompicapo per molti marxisti.

Ovviamente le mie osservazioni riguardano il capitalismo. Nel comunismo in teoria sarebbe possibile automatizzare completamente la produzione perchè, grazie alla sostituzione del valore d'uso al valore di scambio e alla sostituzione della circolazione mercantile con lo scambio di prodotti in natura, la questione dei profitti non si pone.
view post Posted: 9/7/2011, 21:33 La Questione dell'adattamento attuale - La voce del popolo
Complimenti per l'articolo compagno, molto interessanti sono i temi trattati.
Sono sostanzialmente d'accordo con buona parte delle tue tesi, ma sulla questione del progresso tecnologico secondo me hai fatto una specie di volo pindarico. Partendo da questa giusta tesi:
CITAZIONE
realizzare il massimo profitto con le minori spese e il minor tempo possibili.

Non hai individuato con precisione la fonte del profitto. Qual è la fonte del profitto? Il pluslavoro, cioè il lavoro non remunerato al lavoratore, il quale aggiunge valore alla merce che viene venduta dal capitalista a un prezzo superiore rispetto alla somma del salario e del costo degli strumenti di produzione e delle materie prime impiegati nella produzione. Dalla differenza tra il prezzo di mercato della merce prodotta e la suddetta somma si ottiene il plusvalore, cioè il profitto propriamente detto.

Le macchine sono utili nella produzione di plusvalore? Si, infatti Marx nel Capitale dice: "La macchina è un mezzo per produrre plusvalore."

Le macchine permettono di aumentare la produzione (e quindi l'offerta), ne consegue che il prezzo delle merci prodotte diminuisce e diminusce anche il salario, che corrisponde ai mezzi di sussistenza del lavoratore (oggi, tramite la pubblicità, i capitalisti hanno aumentato i "bisogni" dei lavoratori per poter vendere tutte le merci di fatto inutili), anche a causa della diminuzione del prezzo della forza lavoro dovuta alla maggior disoccupazione provocata dall'introduzione delle macchine; diminuito il salario restano però invariati la giornata di lavoro e il prezzo della merce prodotta, quindi si ha un aumento del plusvalore relativo. Questo è il campo in cui le macchine sono utili nella produzione di plusvalore.

Al capitalista quindi interessa introdurre le macchine solo nella misura in cui esse provocano una crescita del plusvalore relativo.
Com'è possibile estorcere plusvalore in un mondo senza lavoratori umani? Non è possibile, perchè al capitalista interessa aumentare il saggio del plusvalore.
Si potrebbe obbiettare che il lavoro delle macchine aggiunge comunque valore alla merce. Questo è vero, ma le macchine fanno parte del capitale costante e non si può estorcere plusvalore da una macchina.
Se le macchine sostituissero completamente l'uomo i capitalisti non otterrebbero alcun profitto e ciò significherebbe anche la fine dello stesso capitalismo a causa dell'impossibilità di attuare la riproduzione allargata e quindi dell'assenza di capitale. Ecco perchè i capitalisti non hanno alcun interesse verso tale prospettiva e perchè
CITAZIONE
un mondo in cui tutto è compiuto dalle macchine non necessita di un'ideologia a favore dei lavoratori,semplicemente perchè non ve ne sarebbero.

è un utopia per quanto riguarda il capitalismo.
Un ulteriore ostacolo a questa prospettiva è l'enorme esercito di disoccupati che ne risulterebbe.

La questione dello sviluppo della tecnica nel capitalismo era già stata posta da Stalin nei Problemi economici del socialismo nell'URSS:

"A tutti sono noti i fatti della storia e della pratica del capitalismo, che dimostrano l'impetuoso sviluppo della tecnica nel capitalismo, quando i capitalisti agiscono come alfieri della tecnica d'avanguardia, come rivoluzionari nel campo dello sviluppo della tecnica produttiva. Ma sono noti anche fatti d'altro genere, che dimostrano l'arresto dello sviluppo tecnico nel capitalismo, quando i capitalisti agiscono come reazionari nel campo dello sviluppo della nuova tecnica e passano non di rado al lavoro a mano.
Come spiegare questa contraddizione stridente? La si può spiegare soltanto con la legge economica fondamenta del capitalismo contemporaneo, cioè con la necessità di ottenere profitti massimi. Il capitalismo è per la nuova tecnica quando essa gli promette i maggiori profitti. Il capitalismo è contro la nuova tecnica e per il passaggio al lavoro a mano, quando la nuova tecnica non gli promette più i maggiori profitti.
"

I profitti sono l'interesse fondamentale dei capitalisti, i quali verrebbero meno in una società dalla produzione completamente automatizzata.

Un'ultima osservazione:
CITAZIONE
l'analisi marxiana [...] dell'imperialismo

non esite. Marx aveva previsto l'imperialismo ma è stato Lenin ad analizzarlo.
10 replies since 24/6/2011